La stagione teatrale di quest'anno inizia all'Argentina con questo adattamento teatrale ad opera di Linda Dalisi del romanzo di Nicola Lagioia a suo tempo vincitore del Premio Strega.
Del romanzo ricordavo poco, se non che mi era piaciuto, ed ero curiosa di capire come sarebbe stato reso su un palcoscenico.
La scenografia vede una tripartizione degli spazi: la cabina nella quale un giornalista radiofonico fa la sua trasmissione, l'interno di una casa con una parete a vetri, l'esterno che diventa molti luoghi a seconda delle esigenze sceniche.
Lo spettacolo parte in maniera molto poco narrativa, e infatti faccio fatica a seguire e anche a ritrovare la storia che avevo letto. Poi a un certo punto la trama si dipana e a poco a poco si va delineando la storia della famiglia Salvemini, il padre immobiliarista senza scrupoli Vittorio (Leonardo Capuano), la moglie Annamaria (Francesca Mazza), e i figli Ruggero (Michele Altamura), Clara e Michele (Gabriele Paolocà) (manca un'ultima figlia non presente nell'adattamento teatrale).
Al centro della trama la morte di Clara, apparentemente suicida, e un intrigo che riguarda il complesso turistico di Porto Allegro, fatto costruire da Vittorio sul Gargano.
A latere altre figure minori, tra cui il conduttore radiofonico (Gaetano Colella) che è anche in parte narratore della storia, nonché protagonista a un certo punto di un dialogo con Michele.
Complessivamente lo spettacolo riesce a veicolare abbastanza fedelmente sia il senso di angoscia che attraversa le pagine del libro di Lagioia, sia l'ambiguità dei rapporti che intercorrono tra i personaggi, e alla fine lo sviluppo narrativo appare sufficientemente chiaro.
Non mi sembra però che lo spettacolo aggiunga qualcosa alla lettura del romanzo, anzi semmai toglie qualche aspetto di complessità che la parola scritta certamente veicola meglio.
Tra l'altro lo spettacolo soffre nel tentativo di trasformare un romanzo pochissimo dialogico in qualcosa di maggiormente teatrale, e l'impressione che se ne ricava è che - a parte pochi momenti - il tutto finisce per sembrare come una somma di monologhi giustapposti, monologhi che risentono tra l'altro di uno stile letterario e che dunque - solo in alcuni passaggi e anche grazie alla bravura degli attori (per esempio quando Michele parla degli animali impazziti) - risultano davvero dirompenti.
Un ultimo appunto linguistico: a parte il figlio Ruggero e il personaggio della rana (che forse è lo stesso che fa il conduttore radiofonico?), tutti gli altri attori non hanno nemmeno un'inflessione barese, il che produce - almeno per me che da quel contesto provengo - un effetto piuttosto straniante e toglie forza alla verosimiglianza.
Voto: 3/5
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