Felici i felici / Yasmina Reza; trad. di Maurizia Balmelli. Milano: Adelphi, 2017.
Ho comprato Felici i felici di Yasmina Reza su suggerimento di F. che me ne aveva decantato i pregi dopo che avevamo visto insieme a teatro Art, spettacolo tratto da un altro testo della scrittrice francese.
La Reza l'ho scoperta ormai da anni e la conosco da diversi punti di vista: ho visto opere teatrali scritte da lei, ho letto suoi romanzi, ho visto film ispirati ai suoi lavori. So bene dunque quanto il suo sguardo sia affilato e tagliente rispetto alla società e soprattutto rispetto alle idiosincrasie, alle frustrazioni e alle piccolezze più o meno nascoste delle persone, sia prese singolarmente che nelle relazioni.
Ebbene, in un certo senso Felici i felici è un po' la summa di tutto questo. Si tratta infatti di un libro corale e al contempo individuale, strutturato in brevi capitoli ciascuno dedicato a un personaggio. Man mano che la lettura prosegue comprendiamo via via le relazioni tra questi personaggi, che infine negli ultimissimi capitoli si compongono in un affresco d'insieme, intorno al funerale di uno di loro.
La Reza ne ha per tutti: per le relazioni di coppia (spesso fatte di insoddisfazioni, tradimenti, abitudini e infelicità), per le relazioni familiari (caratterizzate da condizionamenti, vergogna, non detti), per le relazioni amicali (non sempre sincere e completamente rilassate, talvolta persino meschine). Insomma, ognuno di questi personaggi ha la sua dose di infelicità e si barcamena come può in questa vita di cui nessuno ci ha fornito le istruzioni.
È evidente che il disvelamento della Reza riguarda tutti noi, e non solo i personaggi rappresentati in queste pagine, perché ciascuno di noi nella propria vita o in specifiche fasi della stessa sperimenta questo senso di insoddisfazione e/o la difficoltà di far fronte a cose soverchianti come la morte e la malattia.
Ognuno fa quello che può per dare un senso e rendere la propria esistenza meritevole di essere vissuta, foss'anche solo dal punto di vista strettamente individuale.
Lettura interessante, come tutte quelle dei libri della Reza; dal mio punto di vista non particolarmente sorprendente visto che sapevo sostanzialmente cosa aspettarmi.
Voto: 3/5
mercoledì 31 agosto 2022
lunedì 29 agosto 2022
Karate (+ Ardecore). Villa Ada, 3 agosto 2022
Nella mia conoscenza direi recente e tutto sommato superficiale della musica, i Karate sono una specie di band-mito che appartiene a un'epoca in cui io ancora la musica la ascoltavo poco e i miei gusti musicali erano davvero orribili. Da quando sono stata svezzata a una musica di migliore qualità ho cominciato a sentire sempre più spesso il nome di Geoff Farina, il leader dei Karate (ma anche dei Glorytellers nonché animatore e propulsore di tanti bei progetti musicali), cosicché qualche anno fa nei miei acquisti di cd musicali avevo preso uno dei loro ultimi album, quello dal titolo 595. Lo avevo ascoltato poco e non ne ero stata conquistata, cosicché non avevo approfondito la conoscenza. D'altra parte i Karate non fanno da anni nuovi dischi e da 17 anni non si esibiscono dal vivo, quindi occasioni per farmi un'idea non ne avevo avute.
Ma ecco che questo è l'anno della reunion dei Karate e di un loro tour che tocca anche Roma, e precisamente Villa Ada, il posto dove hanno suonato l'ultima volta 17 anni fa. E io non posso lasciarmi sfuggire l'occasione. A dire la verità ci arrivo quasi controvoglia, perché ho lavorato fino a tardi e sono stanca, ma vinco la pigrizia e verso le 21.15 sono davanti al palco, mentre suonano gli Ardecore, gruppo romano che Geoff Farina conosce bene per averci collaborato e che è da anni sulla scena non solo romana con una musica che attinge alla tradizione per farne qualcosa di diverso e nuovo. Gli Ardecore hanno un pubblico di affezionati e quando arrivo ci sono davanti al palco parecchie persone che conoscono le canzoni a memoria, e alcune di queste addirittura spariscono quando il loro opening finisce.
Dopo un cambio di palco, ecco che arrivano i tre dei Karate, Geoff Farina (voce e chitarra), Jeff Goddard (bassista) e Gavin McCarthy (batterista). Hanno ovviamente tutti una certa età, ma non gli mancano né qualità musicali né energia da spendere. Farina è alquanto schivo, quasi timido, si limita a ringraziare più volte il pubblico, e a ricordare qualche piccolo aneddoto, ma per il resto è completamente concentrato sulla sua musica. Inizia così un concerto che attraversa tutta la loro produzione e che - me ne accorgo mentre sono lì - fa davvero rivivere il mito: nel pubblico ci sono tantissimi fan veri della band, e non solo "non-più-giovani" per i quali i Karate rappresentano la musica della gioventù, ma anche giovani che dimostrano di conoscere le loro canzoni altrettanto bene e di esserne totalmente conquistati.
Dietro di me c'è un gruppetto di ragazzi napoletani praticamente in visibilio, mentre proprio davanti al palco c'è un gruppo di uomini (non meno di 40 anni) che cantano le canzoni a squarciagola, uno dei quali ha con sé un bimbetto di 6-7 anni che a sua volta conosce a memoria alcune delle canzoni. L'effetto è a dir poco surreale. Io mi sento quasi un pesce fuor d'acqua in questo contesto, visto che ascolto per la prima volta molti dei brani. Comprendo però bene quello che questi fan provano durante il concerto, e capisco anche perché i Karate siano diventati a suo tempo una band di culto, con il loro modo di spaziare tra generi musicali, rimanendo coerenti con sé stessi senza perdere la capacità di sperimentare. Appena arrivo a casa compro quello che è considerato il loro album migliore, In place of real insight, che nei giorni seguenti diventerà uno dei miei più fedeli compagni di queste caldissime giornate di agosto.
Bentornati, dunque, Karate! E speriamo che continuino a conquistare gli amanti della musica con i loro concerti!
Voto: 3,5/5
Ma ecco che questo è l'anno della reunion dei Karate e di un loro tour che tocca anche Roma, e precisamente Villa Ada, il posto dove hanno suonato l'ultima volta 17 anni fa. E io non posso lasciarmi sfuggire l'occasione. A dire la verità ci arrivo quasi controvoglia, perché ho lavorato fino a tardi e sono stanca, ma vinco la pigrizia e verso le 21.15 sono davanti al palco, mentre suonano gli Ardecore, gruppo romano che Geoff Farina conosce bene per averci collaborato e che è da anni sulla scena non solo romana con una musica che attinge alla tradizione per farne qualcosa di diverso e nuovo. Gli Ardecore hanno un pubblico di affezionati e quando arrivo ci sono davanti al palco parecchie persone che conoscono le canzoni a memoria, e alcune di queste addirittura spariscono quando il loro opening finisce.
Dopo un cambio di palco, ecco che arrivano i tre dei Karate, Geoff Farina (voce e chitarra), Jeff Goddard (bassista) e Gavin McCarthy (batterista). Hanno ovviamente tutti una certa età, ma non gli mancano né qualità musicali né energia da spendere. Farina è alquanto schivo, quasi timido, si limita a ringraziare più volte il pubblico, e a ricordare qualche piccolo aneddoto, ma per il resto è completamente concentrato sulla sua musica. Inizia così un concerto che attraversa tutta la loro produzione e che - me ne accorgo mentre sono lì - fa davvero rivivere il mito: nel pubblico ci sono tantissimi fan veri della band, e non solo "non-più-giovani" per i quali i Karate rappresentano la musica della gioventù, ma anche giovani che dimostrano di conoscere le loro canzoni altrettanto bene e di esserne totalmente conquistati.
Dietro di me c'è un gruppetto di ragazzi napoletani praticamente in visibilio, mentre proprio davanti al palco c'è un gruppo di uomini (non meno di 40 anni) che cantano le canzoni a squarciagola, uno dei quali ha con sé un bimbetto di 6-7 anni che a sua volta conosce a memoria alcune delle canzoni. L'effetto è a dir poco surreale. Io mi sento quasi un pesce fuor d'acqua in questo contesto, visto che ascolto per la prima volta molti dei brani. Comprendo però bene quello che questi fan provano durante il concerto, e capisco anche perché i Karate siano diventati a suo tempo una band di culto, con il loro modo di spaziare tra generi musicali, rimanendo coerenti con sé stessi senza perdere la capacità di sperimentare. Appena arrivo a casa compro quello che è considerato il loro album migliore, In place of real insight, che nei giorni seguenti diventerà uno dei miei più fedeli compagni di queste caldissime giornate di agosto.
Bentornati, dunque, Karate! E speriamo che continuino a conquistare gli amanti della musica con i loro concerti!
Voto: 3,5/5
venerdì 26 agosto 2022
Da Porto a Coimbra in bicicletta (e Lisbona a piedi) - Seconda parte
Il castello di Lisbona visto da Mouraria |
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(segue) Le cose belle che abbiamo visto
Lisbona è la più nota delle città che visitiamo, e nonostante io ci fossi già stata un paio di volte resto affascinata ogni volta che ci torno e scopro cose nuove. Qui alloggiamo nella zona del Rossio, comodissima per girare la città. Il primo giorno facciamo un giro a Mouraria, il quartiere dei mori, ora quello multietnico della città, che è molto affascinante ma per il quale ci manca qualcuno che ci faccia fare un itinerario sensato e ci spieghi un po' di cose.
Il giorno dopo facciamo un free walking tour che parte da Largo de Camões. Il giro con Francisco dura 4 ore anziché 3 ma è molto interessante e copre i principali quartieri di Lisbona, Chiado, Baixa, Alfama ecc. ed è ricchissimo di storie, aneddoti e informazioni che ci permettono di apprezzare al meglio le varie parti della città.
(segue) Le cose belle che abbiamo visto
Lisbona è la più nota delle città che visitiamo, e nonostante io ci fossi già stata un paio di volte resto affascinata ogni volta che ci torno e scopro cose nuove. Qui alloggiamo nella zona del Rossio, comodissima per girare la città. Il primo giorno facciamo un giro a Mouraria, il quartiere dei mori, ora quello multietnico della città, che è molto affascinante ma per il quale ci manca qualcuno che ci faccia fare un itinerario sensato e ci spieghi un po' di cose.
Davanti alla Fundação José Saramago |
Dopo il bel giro con Francisco andiamo verso Belém facendo un casino con la carta dei trasporti che già abbiamo comprato ma che carichiamo a una macchinetta dei biglietti del treno, rendendola poi inutilizzabile per autobus e metro. In ogni caso l'autobus lo prendiamo lo stesso pagando a bordo.
A Belém ci sono file ovunque (è domenica!): al negozio dei pasteis, all'ingresso del Monasterio de los Jerónimos, cosicché decidiamo di fare una passeggiata sull'esplanade, dal monumento ai navigatori fino alla torre di Belem. E poi torniamo in centro con il tranvetto storico (il 28). Il giorno dopo è quello della ripartenza: abbiamo giusto il tempo di una colazione, qualche acquisto e un giro nella zona del castello di São Jorge.
Al di fuori delle città, pure vediamo molti posti belli durante il nostro giro in bicicletta, posti che probabilmente non avremmo visto se non avessimo fatto questo tipo di viaggio. In particolare è molto bello il percorso lungo le spiagge atlantiche, da Porto fino ad Aveiro e in questo percorso ricordiamo in particolare la sosta alla Capela do Senhor da Pedra nella zona di Vila Nova de Gaia, che a seconda delle maree può essere o no circondata dal mare. Quando ci andiamo noi ci si arriva tranquillamente attraversando la profonda spiaggia.
Molto bella la zona lagunare di Aveiro e anche la cittadina, dove facciamo il giro tra i canali nelle tipiche barche locali che si chiamano moliceiros e che ricordano lontanamente le gondole veneziane.
Dopo Aveiro facciamo una deviazione con le bici a Costa Nova, quello che era un paesino di pescatori fatto di capanni a strisce colorate. Oggi ovviamente è una cittadina turistica in cui queste case - che ricordano le cabine degli stabilimenti balneari - creano uno scenario molto colorato e divertente. Tra l'altro tutto il centro del paese è ispirato al tema del mare con panchine a forma di sardine e pavimentazione con le onde e animali marini. Io non smetto di fare foto.
Anche Curia è un posto alquanto sorprendente: si tratta di una delle più antiche e importanti località termali del Portogallo, dove ovviamente tutto ruota intorno alle terme. Noi alloggiamo al Curia Palace Hotel, che è una specie di residenza di lusso dei primi del Novecento in stile Liberty, con il suo proprio borghetto, che ha un fascino incredibile.
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Le cose buone che abbiamo mangiato
In Portogallo si mangia davvero molto bene e a prezzi assolutamente abbordabili.
Qui segnalerò alcune delle cose e dei posti che abbiamo apprezzato di più.
Innanzitutto gli onnipresenti ma eccezionalmente buoni pastéis de nata (diciamo, semplificando, un cestino di pasta sfoglia con crema) che prendiamo un po' ovunque. Non sono altrettanto buoni in tutti i posti, ma mai ovviamente sgradevoli o sgraditi. Quelli che ci sono piaciuti di più sono quelli di Portugal Fabrica da Nata, quelli comprati in alcune pastelerias tradizionali (e molto anni Settanta) incontrate lungo il percorso, quelli della pasticceria ArcoIris a Coimbra, e quelli di Lisbona (in particolare della Manteigaria, di Sao Nicolau e di Confeitaria Nacional, anche se poi penso che noi non siamo del tutto in grado di distinguere realmente, come un non pugliese non fa grandi distinzione tra taralli buoni ed eccezionali).
Sempre parlando di pastéis, questa volta salati, ci innamoriamo dei pastéis de bachalau che prendiamo già il primo giorno come antipasto della cena a Porto da Cozinha dos Lóios. Poi a Lisbona la vetta sarà raggiunta dalle polpette appena fatte da Emilia al ristorante A Gaiola, che proviamo durante il walking tour e torniamo a mangiare per aperitivo la sera. Invece quello carissimo con il formaggio all'interno che mangiamo alla Casa Portuguesa do Pastel de Bacalhau ci è sembrato più una cosa da turisti che da locali.
A livello di pasticceria abbiamo assaggiato diverse cose: le varie brioche che però non abbiamo registrato come si chiamano, nonché diversi dei dolci conventuali, tra cui gli ovos molles ad Aveiro e i pastéis de Tentúgal a Coimbra.
Un'altra cosa che scopriamo al Mercado de Bom Sucesso a Porto (una specie di mercato centrale dove si mangia anche, formula che esiste in tutte le città del Portogallo ed è un'ottima alternativa al ristorante) e che mangeremo più volte nel corso sono i rissol, una specie di sofficini fritti variamente ripieni: ottimi quelli di pesce.
Tra le altre cose tipiche che mangiamo c'è la francesinha, buona ma parecchio impegnativa, e le sardine grigliate (resteranno mitiche per la location quelle di un posto a Porto che si chiama Wine Lovers, dove ci sono solo due piatti del giorno - uno di essi sono le sardine grigliate - che vengono cotte al momento su un barbecue collocato per strada), le zuppe di pesce e quelle di verdure (le prendiamo praticamente ovunque), i "saute" di vongole e similari (buonissimi! Per esempio quello mangiato ad Aveiro al ristorante O Arco da Velha e quello mangiato al ristorante Pate'o di Ovar), ovviamente il bachalau in tutte le varianti (le prime che mangiamo non ci entusiasmano perché il pesce ci sembra che resti troppo secco, poi ne proviamo invece versioni forse meno salutari ma più buone come il bacalhau à braz che proviamo al Mercado do Campo Ourique di Lisbona, dove andiamo con un motorino a noleggio e dove veramente c'è solo gente del posto (è un po' fuori mano rispetto al più famoso Time Out) e le zuppe di baccalà che mangiamo da Maria Catita a Lisbona, un posto che ci è piaciuto molto.
Attenzione: non si può andare a Lisbona senza prendere almeno una volta la ginja, possibilmente nel posto che l'ha inventata, A Ginjinha.
Passeggiata verso la torre di Belém |
Al di fuori delle città, pure vediamo molti posti belli durante il nostro giro in bicicletta, posti che probabilmente non avremmo visto se non avessimo fatto questo tipo di viaggio. In particolare è molto bello il percorso lungo le spiagge atlantiche, da Porto fino ad Aveiro e in questo percorso ricordiamo in particolare la sosta alla Capela do Senhor da Pedra nella zona di Vila Nova de Gaia, che a seconda delle maree può essere o no circondata dal mare. Quando ci andiamo noi ci si arriva tranquillamente attraversando la profonda spiaggia.
Capela do Senhor da Pedra |
Molto bella la zona lagunare di Aveiro e anche la cittadina, dove facciamo il giro tra i canali nelle tipiche barche locali che si chiamano moliceiros e che ricordano lontanamente le gondole veneziane.
Dopo Aveiro facciamo una deviazione con le bici a Costa Nova, quello che era un paesino di pescatori fatto di capanni a strisce colorate. Oggi ovviamente è una cittadina turistica in cui queste case - che ricordano le cabine degli stabilimenti balneari - creano uno scenario molto colorato e divertente. Tra l'altro tutto il centro del paese è ispirato al tema del mare con panchine a forma di sardine e pavimentazione con le onde e animali marini. Io non smetto di fare foto.
Costa Nova do Prado |
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Le cose buone che abbiamo mangiato
In Portogallo si mangia davvero molto bene e a prezzi assolutamente abbordabili.
Qui segnalerò alcune delle cose e dei posti che abbiamo apprezzato di più.
I pasteis de bachalau fatti da Emilia al ristorante A Gaiola |
Il più famoso posto per prendere la ginjinha a Lisbona |
A livello di pasticceria abbiamo assaggiato diverse cose: le varie brioche che però non abbiamo registrato come si chiamano, nonché diversi dei dolci conventuali, tra cui gli ovos molles ad Aveiro e i pastéis de Tentúgal a Coimbra.
Per le strade di Porto |
Tra le altre cose tipiche che mangiamo c'è la francesinha, buona ma parecchio impegnativa, e le sardine grigliate (resteranno mitiche per la location quelle di un posto a Porto che si chiama Wine Lovers, dove ci sono solo due piatti del giorno - uno di essi sono le sardine grigliate - che vengono cotte al momento su un barbecue collocato per strada), le zuppe di pesce e quelle di verdure (le prendiamo praticamente ovunque), i "saute" di vongole e similari (buonissimi! Per esempio quello mangiato ad Aveiro al ristorante O Arco da Velha e quello mangiato al ristorante Pate'o di Ovar), ovviamente il bachalau in tutte le varianti (le prime che mangiamo non ci entusiasmano perché il pesce ci sembra che resti troppo secco, poi ne proviamo invece versioni forse meno salutari ma più buone come il bacalhau à braz che proviamo al Mercado do Campo Ourique di Lisbona, dove andiamo con un motorino a noleggio e dove veramente c'è solo gente del posto (è un po' fuori mano rispetto al più famoso Time Out) e le zuppe di baccalà che mangiamo da Maria Catita a Lisbona, un posto che ci è piaciuto molto.
Locali sul fiume ad Aveiro |
Non voglio dimenticare, infine, la Conserveira de Lisboa per l'acquisto delle sardine e altro pesce in scatola - non vi fate acchiappare dai posti per turisti (che si chiamano tra l'altro in modo simile, Conserveira Nacional o Conserveira de Portugal). In questo storico posto di Lisbona (sono passati moltissimi anni da quando ci sono andata l'ultima volta e non è cambiato niente) le sardine ve le confezionano una a una con la carta marrone e il filo di lana e anche solo una scatoletta diventa uno splendido regalo (oltre al fatto che sono buonissime). E state tranquilli, all'aeroporto di Lisbona (e penso da nessuna parte in Portogallo) nessuno vi impedirà di salire a bordo dell'aereo con le sardine!
>Una menzione anche per un paio di posti dove comprare souvenirs carini, Milà a Porto in Rua Arquitecto Nicolau Nasoni e A casa da Rosa ad Aveiro, che ha anche una bella storia alle spalle, raccontata sulle pareti esterne del negozio e che vi spiegherà perché la ragazza all'interno parla francese.
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mercoledì 24 agosto 2022
Da Porto a Coimbra in bicicletta (e Lisbona a piedi) - Prima parte
La costa atlantica dopo Porto, verso Praia de Mira |
Il viaggio che scegliamo dal catalogo di Due ruote nel vento è quello da Porto a Coimbra, che è un viaggio da 7 giorni/6 notti, ed è classificato come viaggio semplice (sebbene noi siamo preoccupate lo stesso, visto lo scarsissimo allenamento e la forma inesistente). Alla fine invece la scelta si rivela azzeccatissima e nel complesso il viaggio risulta fortunato da più punti di vista: il temuto sciopero Ryanair del giorno in cui partiamo non ha praticamente alcun effetto su di noi, il percorso è effettivamente piuttosto facile e alla nostra portata, ma anche bello paesaggisticamente, e infine scampiamo una settimana caldissima in Italia, mentre in Portogallo è praticamente primavera, in un momento di tregua tra ondate di caldo successive.
Porto: per le vie del centro |
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Le tappe
1° e 2° giorno: Porto
3° giorno: Porto - Ovar (54 km)
4° giorno: Ovar - Aveiro (40 km)
5° giorno: Aveiro - Mira (in realtà poco oltre Praia de Mira) (50,6 km)
6° giorno: Praia de Mira - Curia (37,6 km)
7° giorno: Curia - Coimbra (40,5 km)
8° e 9° giorno: Lisbona
Casa da Música, Porto |
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Le cose belle che abbiamo visto
Le tre città più grandi, Porto, Coimbra e Lisbona, sono una più bella dell'altra.
Porto (in italiano anche Oporto) è considerata la capitale del nord del Portogallo e, per quello che ho visto, mi pare che meriti questo titolo. In realtà in molti mi dicono che anni fa era una città un bel po' decadente (e ancora nel centro storico qualche segnale lo si vede); nel complesso, però, mi pare che oggi si tratti di una città moderna, vitale ed efficiente. Tra l'altro il giorno in cui arriviamo è in corso il Pride, e la città è invasa di ragazze e ragazzi coloratissimi che attraversano le vie del centro.
Vista su Porto dalla sponda opposta del fiume Douro |
Non andiamo invece alla Livraria Lello e Irmão, perché - complice l'aneddoto per cui la Rowling avrebbe avuto qui l'ispirazione per Harry Potter in questo luogo - c'è una coda pazzesca e noi non abbiamo voglia di farla.
Sé Catedral do Porto |
Da qui esploriamo il quartiere Ribeira con le sue stradine, e attraverso la stretta Rua Dos Mercadores arriviamo a Praça da Ribeira, che si affaccia sul fiume Douro e da cui si sviluppa la passeggiata lungo il fiume che porta al ponte iconico della città, il Dom Luis I, realizzato da un allievo di Gustav Eiffel.
A questo punto dopo una interessante pausa pranzo (di cui parlerò nella prossima puntata), saliamo sul ponte e lo attraversiamo per vedere il panorama della città da una posizione privilegiata. Tornando verso il b&b ci fermiamo a vedere la bellissima stazione dei treni di Sao Bento ricoperta di azulejos.
In serata siamo a dormire nella zona della casa della musica, edificio contemporaneo realizzato da Rem Koolhaas, che non visitiamo all'interno ma che apprezziamo a diverse ore del giorno e della sera, osservando le persone (soprattutto giovani) che si danno convegno nella piazza esterna.
Per quanto riguarda la città di Coimbra, anch'essa adagiata sulle sponde di un fiume, questa volta il Mondego, noi alloggiamo dall'altra parte del fiume ma a 10 min a piedi dal centro. Il giorno in cui arriviamo facciamo un giro nella parte bassa della città, dove è in corso un festival del libro, e poi andiamo a sentire un concerto di fado alla Casa Fado ao Centro, dove ci raccontano anche la storia del fado di Coimbra e le differenze con altri tipi di fado portoghese. Dalla piazza su cui si affaccia la Casa do fado risaliamo la stradina dove sono appesi merletti e centrini tra una casa e l'altra (molto scenografica) fino ad arrivare alla vecchia cattedrale e poi da lì scendiamo nuovamente per la Rua Quebra Costas (la cosiddetta strada spezzaschiena che però noi facciamo solo in discesa).
La mattina dopo la dedichiamo alla visita all'Università, una delle più antiche d'Europa. Prendiamo i biglietti che ci permettono di visitare la bellissima cappella di Sao Miguel (dove bisogna bussare alla porta per farsi aprire), la Biblioteca Joanina con la sua colonia di pipistrelli, il Palacio real con le sale storiche dell'università e infine il Laboratorio di Chimica, dove ci sono delle mostre. Per quel poco che abbiamo visto anche Coimbra ci ha fatto un'ottima impressione.
Accesso alla Biblioteca Joanina, Coimbra |
In serata siamo a dormire nella zona della casa della musica, edificio contemporaneo realizzato da Rem Koolhaas, che non visitiamo all'interno ma che apprezziamo a diverse ore del giorno e della sera, osservando le persone (soprattutto giovani) che si danno convegno nella piazza esterna.
Le strade di Coimbra |
La mattina dopo la dedichiamo alla visita all'Università, una delle più antiche d'Europa. Prendiamo i biglietti che ci permettono di visitare la bellissima cappella di Sao Miguel (dove bisogna bussare alla porta per farsi aprire), la Biblioteca Joanina con la sua colonia di pipistrelli, il Palacio real con le sale storiche dell'università e infine il Laboratorio di Chimica, dove ci sono delle mostre. Per quel poco che abbiamo visto anche Coimbra ci ha fatto un'ottima impressione.
lunedì 22 agosto 2022
Timber Timbre (+ KOKO + Foundling). Unplugged in Monti, Terrazza del Gianicolo, 31 luglio 2022
Ed eccoci all'ultimo appuntamento dell'estate con i concerti organizzati da Unplugged in Monti. Per questo ultimo concerto si è davvero pensato in grande: non solo per quanto riguarda la location (la meravigliosa terrazza del Gianicolo con una delle più belle viste su Roma), ma anche per quanto riguarda la musica, grazie alla combinazione di tre concerti, visto che prima della performance di Timber Timbre gli opening sono stati ben due, quello di KOKO e quello di Foundling.
Per noi la serata inizia presto con la cena da Shiroya nell'ultimo giorno di apertura prima della pausa estiva, poi arriviamo al Gianicolo, dove il nostro primo incontro è con Taylor Kirk (cantante e anima dei Timber Timbre) che sta chiacchierando con una donna che poi scopriamo essere Erin Lang, la cantante che più tardi ci presenterà il progetto Foundling. Noi ammazziamo un po' il tempo con una birra e due chiacchiere al tavolo. Nel frattempo è arrivato l'orario del primo opening, quello dei KOKO, il nuovo progetto musicale di Costanza Delle Rose, una giovane musicista e cantante che - accompagnata sul palco da batteria e tastiere - ci propone una serie di canzoni in inglese dall'approccio intimista, che sembrano incontrare il favore del pubblico presente.
Al termine di questo opening e dopo un rapido riallestimento del palco, inizia il concerto di Erin Lang, che con il progetto Foundling ci porta dalle parti di una musica elettronica piuttosto eterea che personalmente non mi fa impazzire, ma che evidentemente qualche estimatore ce l'ha.
Finalmente intorno alle 23 sale sul palco Taylor Kirk, che in questa occasione non è accompagnato dalla band e presenta un nuovo lavoro che uscirà in autunno. Quando il musicista canadese inizia a suonare la sua chitarra e a cantare con la sua voce profonda il pubblico è immediatamente rapito: in platea ci sono molti fan che riconoscono e cantano alcuni dei successi più famosi dei Timber Timbre, alcuni dei quali hanno raggiunto un pubblico ancora più ampio dopo essere stati utilizzati in acclamate serie come Breaking Bad. Lo stile di Taylor Kirk e la sua musica hanno infatti una forte impronta "cinematografica", sebbene le sue radici siano certamente rintracciabili in un genere musicale classico noto con il nome di Americana e che possiamo considerare imparentato molto da vicino con l'alternative country.
In realtà ho scoperto solo ora che la presenza di uno zoccolo duro di musicisti canadesi che suona questo tipo di musica ha fatto sì che si cominciasse a parlare anche di Canadiana, sostanzialmente la versione canadese del parallelo filone statunitense. E dunque, considerato che Taylor Kirk viene proprio dal Canada e precisamente dall'Ontario, spero che sarà d'accordo con me nell'essere associato a questo genere musicale.
La cosa incredibile del concerto di Kirk è che sul palco per gran parte del tempo ci sono solo lui e la sua chitarra (ad eccezione di qualche brano in cui è accompagnato dalla tromba e dalle tastiere suonate da Erin Lang), eppure la sua voce e il suono della chitarra riempiono completamente lo spazio più di quanto probabilmente potrebbe fare una band al completo.
Lui è schivo, quasi timido, si muove sul palco in maniera quasi buffa, un tutt'uno con la chitarra che imbraccia, a volte si fa "sfuggire" un urletto che infiamma il pubblico, e dopo il bis concesso su richiesta del pubblico, scende dal palco disperdendosi nella folla, esattamente come aveva fatto prima di salirci.
In conclusione, nonostante io conoscessi solo limitatamente le sue canzoni, ho trovato il concerto decisamente ammaliante, fors'anche complice il cielo di Roma, le luci della città sotto di noi e la piccola falce di luna sulla statua di Garibaldi.
Voto: 3,5/5
Per noi la serata inizia presto con la cena da Shiroya nell'ultimo giorno di apertura prima della pausa estiva, poi arriviamo al Gianicolo, dove il nostro primo incontro è con Taylor Kirk (cantante e anima dei Timber Timbre) che sta chiacchierando con una donna che poi scopriamo essere Erin Lang, la cantante che più tardi ci presenterà il progetto Foundling. Noi ammazziamo un po' il tempo con una birra e due chiacchiere al tavolo. Nel frattempo è arrivato l'orario del primo opening, quello dei KOKO, il nuovo progetto musicale di Costanza Delle Rose, una giovane musicista e cantante che - accompagnata sul palco da batteria e tastiere - ci propone una serie di canzoni in inglese dall'approccio intimista, che sembrano incontrare il favore del pubblico presente.
Al termine di questo opening e dopo un rapido riallestimento del palco, inizia il concerto di Erin Lang, che con il progetto Foundling ci porta dalle parti di una musica elettronica piuttosto eterea che personalmente non mi fa impazzire, ma che evidentemente qualche estimatore ce l'ha.
Finalmente intorno alle 23 sale sul palco Taylor Kirk, che in questa occasione non è accompagnato dalla band e presenta un nuovo lavoro che uscirà in autunno. Quando il musicista canadese inizia a suonare la sua chitarra e a cantare con la sua voce profonda il pubblico è immediatamente rapito: in platea ci sono molti fan che riconoscono e cantano alcuni dei successi più famosi dei Timber Timbre, alcuni dei quali hanno raggiunto un pubblico ancora più ampio dopo essere stati utilizzati in acclamate serie come Breaking Bad. Lo stile di Taylor Kirk e la sua musica hanno infatti una forte impronta "cinematografica", sebbene le sue radici siano certamente rintracciabili in un genere musicale classico noto con il nome di Americana e che possiamo considerare imparentato molto da vicino con l'alternative country.
In realtà ho scoperto solo ora che la presenza di uno zoccolo duro di musicisti canadesi che suona questo tipo di musica ha fatto sì che si cominciasse a parlare anche di Canadiana, sostanzialmente la versione canadese del parallelo filone statunitense. E dunque, considerato che Taylor Kirk viene proprio dal Canada e precisamente dall'Ontario, spero che sarà d'accordo con me nell'essere associato a questo genere musicale.
La cosa incredibile del concerto di Kirk è che sul palco per gran parte del tempo ci sono solo lui e la sua chitarra (ad eccezione di qualche brano in cui è accompagnato dalla tromba e dalle tastiere suonate da Erin Lang), eppure la sua voce e il suono della chitarra riempiono completamente lo spazio più di quanto probabilmente potrebbe fare una band al completo.
Lui è schivo, quasi timido, si muove sul palco in maniera quasi buffa, un tutt'uno con la chitarra che imbraccia, a volte si fa "sfuggire" un urletto che infiamma il pubblico, e dopo il bis concesso su richiesta del pubblico, scende dal palco disperdendosi nella folla, esattamente come aveva fatto prima di salirci.
In conclusione, nonostante io conoscessi solo limitatamente le sue canzoni, ho trovato il concerto decisamente ammaliante, fors'anche complice il cielo di Roma, le luci della città sotto di noi e la piccola falce di luna sulla statua di Garibaldi.
Voto: 3,5/5
mercoledì 17 agosto 2022
Ema
Pablo Larraín è regista mai scontato che si è fatto conoscere e apprezzare fin dai tempi del film Tony Manero. Anche se negli ultimi anni la sua cinematografia sembra aver preso una strada più mainstream (soprattutto con biopic quali Jackie e Spencer), si tratta di un regista ormai di culto, tanto che la rassegna estiva del Cinema in piazza organizzata dai ragazzi del Cinema America ha previsto quest'anno una retrospettiva a lui dedicata.
Avrei voluto recuperare anche qualche altro suo film perso a suo tempo, ma l'accavallarsi degli impegni non me lo ha consentito. Però sono riuscita ad andare a vedere Ema (trascinandomi dietro anche la povera S.), film che i miei amici A. e P. mi avevano fortemente sponsorizzato.
Siamo a Val Paraiso, in Cile. Ema (Mariana di Girolamo) è una giovane ballerina, sposata con il suo coreografo Gaston (Gael García Bernal). I due stanno divorziando perché dopo aver adottato un bambino, Polo, lo hanno poi riportato all'orfanotrofio in quanto incapaci di gestirlo e ora si scaricano a vicenda la colpa di quanto accaduto.
Ema però è intenzionata a riavvicinarsi a Polo a qualunque costo e dunque elabora una complessa strategia nei confronti della nuova famiglia che ha adottato il bambino.
La trama del film di Larraín sarebbe anche piuttosto semplice e lineare se non fosse che l'intero racconto è costruito in maniera iperbolica, inseguendo gli "eccessi" di Ema che di giorno balla il reggaeton per strada con le sue amiche in un crescendo di ritmo e di carnalità e di notte quelle stesse strade le incendia in senso letterale.
Il film asseconda la vena di follia di Ema che è anche esercizio di seduzione e di manipolazione nei confronti del mondo circostante, ma anche veicolo di scoperta di sé e di liberazione del desiderio e della sessualità, che coinvolge anche coloro che con questa ragazza "incendiaria" e non convenzionale vengono a contatto.
Non posso dire che sia il mio genere di film, troppo sopra le righe per i miei gusti (il punto in cui mi sono identificata di più è quello in cui Gaston fa una requisitoria contro il reggaeton), però devo ammettere che il personaggio di Ema è dirompente e che Larraín dimostra in questo film di sapersi muovere con grandissima nonchalance tra un cinema apparentemente di maniera e uno potentemente underground, che hanno in comune il suo amore per i protagonisti anticonformisti e poco allineati.
Voto: 3/5
Avrei voluto recuperare anche qualche altro suo film perso a suo tempo, ma l'accavallarsi degli impegni non me lo ha consentito. Però sono riuscita ad andare a vedere Ema (trascinandomi dietro anche la povera S.), film che i miei amici A. e P. mi avevano fortemente sponsorizzato.
Siamo a Val Paraiso, in Cile. Ema (Mariana di Girolamo) è una giovane ballerina, sposata con il suo coreografo Gaston (Gael García Bernal). I due stanno divorziando perché dopo aver adottato un bambino, Polo, lo hanno poi riportato all'orfanotrofio in quanto incapaci di gestirlo e ora si scaricano a vicenda la colpa di quanto accaduto.
Ema però è intenzionata a riavvicinarsi a Polo a qualunque costo e dunque elabora una complessa strategia nei confronti della nuova famiglia che ha adottato il bambino.
La trama del film di Larraín sarebbe anche piuttosto semplice e lineare se non fosse che l'intero racconto è costruito in maniera iperbolica, inseguendo gli "eccessi" di Ema che di giorno balla il reggaeton per strada con le sue amiche in un crescendo di ritmo e di carnalità e di notte quelle stesse strade le incendia in senso letterale.
Il film asseconda la vena di follia di Ema che è anche esercizio di seduzione e di manipolazione nei confronti del mondo circostante, ma anche veicolo di scoperta di sé e di liberazione del desiderio e della sessualità, che coinvolge anche coloro che con questa ragazza "incendiaria" e non convenzionale vengono a contatto.
Non posso dire che sia il mio genere di film, troppo sopra le righe per i miei gusti (il punto in cui mi sono identificata di più è quello in cui Gaston fa una requisitoria contro il reggaeton), però devo ammettere che il personaggio di Ema è dirompente e che Larraín dimostra in questo film di sapersi muovere con grandissima nonchalance tra un cinema apparentemente di maniera e uno potentemente underground, che hanno in comune il suo amore per i protagonisti anticonformisti e poco allineati.
Voto: 3/5
mercoledì 3 agosto 2022
Steve Gunn. Unplugged in Monti, Industrie fluviali, 21 luglio 2022
I concerti di Unplugged in Monti sono finalmente tornati! E in quest'estate 2022 la scelta è stata quella di individuare una location diversa per ogni concerto in una zona diversa di Roma, creando collaborazioni e contatti. Dopo il concerto di Andy Bell a Garbatella (cui non sono riuscita ad andare), non posso perdere quello di Steve Gunn sulla terrazza di Industrie Fluviali. Gunn è stato il chitarrista di Kurt Vile nei Violators, ma ormai da diversi anni ha intrapreso una carriera solista che - devo ammettere - conosco poco ma che, da quel poco che ho ascoltato, mi è sembrata degna di attenzione.
D'altra parte la verità è che non importa quanto si conosce il cantante, perché con i concerti di Unplugged in Monti si va quasi sempre sul sicuro e, anche se la musica non sarà esattamente quello che ci aspettavamo o non incontrerà perfettamente i nostri gusti, l'atmosfera certamente non ci tradirà.
Così accade nel caso di Steve Gunn. Il posto è su via del Porto Fluviale: al piano terra un bar/punto di ristoro dove prendo un ottimo panino con felafel e una birra, poi salgo in terrazza dove la platea però non è ancora aperta.
Alle 20,30 possiamo prendere posto e io mi sistemo in prima fila con la mia macchina fotografica. Alle 21.15 Steve Gunn è pronto a cominciare. Fa spostare una luce sul palco perché gli finisce negli occhi, con il risultato che poi arriva dritta dritta negli occhi di noi seduti in prima fila ma poco male.
Lui è un ragazzo non più giovanissimo, ma certamente ancora timido, che dice poche parole e prevalentemente si esprime attraverso la sua chitarra con cui - grazie alla pedaliera - crea anche arrangiamenti e basi, nonché variazioni nelle sonorità.
Le sue canzoni sono tutte molto quiet, e ogni tanto Steve per cantarle si rivolge a un quadernone dove ci sono scritte i testi di alcune di esse. Tra queste la canzone che lui dice essere la sua preferita al momento e che ci comunica essere stata scritta da una sua amica (il cui nome è Bridget St John, anche se lì per lì capisco Bridget Jones :-D ).
Tra melodie sussurrate e un uso della chitarra ampio e talvolta virtuosistico, il concerto fila via in un batter d'occhi, mentre il pubblico è attento e silenzioso, salvo mostrare il suo apprezzamento al termine di ogni esecuzione. Quando Gunn ci saluta, viene inevitabilmente chiamato a gran voce e risale sul palco per un'ultima canzone, promettendo di tornare a Roma magari quando farà un po' meno caldo. Sì, perché stasera la temperatura è ai limiti del sopportabile. Quando il concerto finisce siamo tutti accaldati, ma contenti di esserci stati.
Voto: 3,5/5
D'altra parte la verità è che non importa quanto si conosce il cantante, perché con i concerti di Unplugged in Monti si va quasi sempre sul sicuro e, anche se la musica non sarà esattamente quello che ci aspettavamo o non incontrerà perfettamente i nostri gusti, l'atmosfera certamente non ci tradirà.
Così accade nel caso di Steve Gunn. Il posto è su via del Porto Fluviale: al piano terra un bar/punto di ristoro dove prendo un ottimo panino con felafel e una birra, poi salgo in terrazza dove la platea però non è ancora aperta.
Alle 20,30 possiamo prendere posto e io mi sistemo in prima fila con la mia macchina fotografica. Alle 21.15 Steve Gunn è pronto a cominciare. Fa spostare una luce sul palco perché gli finisce negli occhi, con il risultato che poi arriva dritta dritta negli occhi di noi seduti in prima fila ma poco male.
Lui è un ragazzo non più giovanissimo, ma certamente ancora timido, che dice poche parole e prevalentemente si esprime attraverso la sua chitarra con cui - grazie alla pedaliera - crea anche arrangiamenti e basi, nonché variazioni nelle sonorità.
Le sue canzoni sono tutte molto quiet, e ogni tanto Steve per cantarle si rivolge a un quadernone dove ci sono scritte i testi di alcune di esse. Tra queste la canzone che lui dice essere la sua preferita al momento e che ci comunica essere stata scritta da una sua amica (il cui nome è Bridget St John, anche se lì per lì capisco Bridget Jones :-D ).
Tra melodie sussurrate e un uso della chitarra ampio e talvolta virtuosistico, il concerto fila via in un batter d'occhi, mentre il pubblico è attento e silenzioso, salvo mostrare il suo apprezzamento al termine di ogni esecuzione. Quando Gunn ci saluta, viene inevitabilmente chiamato a gran voce e risale sul palco per un'ultima canzone, promettendo di tornare a Roma magari quando farà un po' meno caldo. Sì, perché stasera la temperatura è ai limiti del sopportabile. Quando il concerto finisce siamo tutti accaldati, ma contenti di esserci stati.
Voto: 3,5/5
lunedì 1 agosto 2022
Kings of Convenience (+ Marco Castello). Villa Ada Festival, 27 luglio 2022
È la terza, forse la quarta volta che vado a un concerto dei Kings of Convenience. Per quanto mi riguarda sono molto affezionata a questi due ragazzoni norvegesi, Erlend Øye e Eirik Glambæk Bøe, che poi ormai tanto ragazzi non lo sono nemmeno più. Erlend tra l'altro è ormai, e già da un po' di anni, di casa - in senso letterale - in Italia, visto che abita parte dell'anno a Siracusa e parla un ottimo italiano. Probabilmente è stando a Siracusa che ha conosciuto Marco Castello, il musicista e cantante siciliano che ha studiato tromba jazz a Milano e che ha pubblicato il suo primo album dal titolo Contenta tu. È a lui e alla sua band che i KOC affidano l'opening del concerto e devo dire che si tratta di un opening divertente e molto partecipato, a differenza di quanto accade in molte altre circostanze.
Marco Castello è giovane e bravo, le sue canzoni sono belle e divertenti, e tutta la band suona da dio. Cosicché già penso che appena tornata a casa comprerò il suo album per riascoltarlo e verificare se si è trattato di un'impressione momentanea oppure no. In realtà Marco Castello e la band torneranno protagonisti nell'ultima parte del concerto, secondo uno schema già consolidato nei concerti dei KOC.
E a questo proposito mi preme fare una riflessione. Molte persone che conosco non vengono ai loro concerti perché dicono che i KOC fanno musica noiosa e non reggerebbero un concerto. Sulla prima affermazione ovviamente non posso dire nulla: è questione di gusti. Il new acoustic mouvement di cui i KOC sono tra i principali rappresentanti non è sicuramente rock e può risultare nell'ascolto in parte ripetitivo, anche se secondo me alcune melodie e il gioco armonico delle due chitarre resta qualcosa di altamente godibile. Sulla seconda affermazione però devo decisamente dissentire: i KOC dal vivo sono imperdibili, soprattutto all'aperto e in spazi medio-grandi.
La loro performance parte intimistica con i dialoghi tra le due chitarre e le sonorità soft, per poi crescere di intensità e di partecipazione, fino a diventare una performance a 360°. Se Eirik rimane sempre composto e misurato, Erlend man mano prende in mano la situazione e comincia a improvvisare, a ballare, a dirigere il pubblico, fino a quando sulle ultime canzoni a uno a uno salgono sul palco i musicisti della band di Marco Castello (e anche lui con la sua tromba) e le canzoni dei KOC diventano un'esplosione di ritmo e di divertimento su cui tutti (e sottolineo tutti) cominciano a ballare.
Marco Castello è giovane e bravo, le sue canzoni sono belle e divertenti, e tutta la band suona da dio. Cosicché già penso che appena tornata a casa comprerò il suo album per riascoltarlo e verificare se si è trattato di un'impressione momentanea oppure no. In realtà Marco Castello e la band torneranno protagonisti nell'ultima parte del concerto, secondo uno schema già consolidato nei concerti dei KOC.
E a questo proposito mi preme fare una riflessione. Molte persone che conosco non vengono ai loro concerti perché dicono che i KOC fanno musica noiosa e non reggerebbero un concerto. Sulla prima affermazione ovviamente non posso dire nulla: è questione di gusti. Il new acoustic mouvement di cui i KOC sono tra i principali rappresentanti non è sicuramente rock e può risultare nell'ascolto in parte ripetitivo, anche se secondo me alcune melodie e il gioco armonico delle due chitarre resta qualcosa di altamente godibile. Sulla seconda affermazione però devo decisamente dissentire: i KOC dal vivo sono imperdibili, soprattutto all'aperto e in spazi medio-grandi.
La loro performance parte intimistica con i dialoghi tra le due chitarre e le sonorità soft, per poi crescere di intensità e di partecipazione, fino a diventare una performance a 360°. Se Eirik rimane sempre composto e misurato, Erlend man mano prende in mano la situazione e comincia a improvvisare, a ballare, a dirigere il pubblico, fino a quando sulle ultime canzoni a uno a uno salgono sul palco i musicisti della band di Marco Castello (e anche lui con la sua tromba) e le canzoni dei KOC diventano un'esplosione di ritmo e di divertimento su cui tutti (e sottolineo tutti) cominciano a ballare.
Il divertimento è davvero assicurato. E questa per me è la dimostrazione della differenza tra la musica ascoltata in cuffia e quella dal vivo. Se andate a un concerto e tutto sommato questo non aggiunge niente all'ascolto in cuffia, dal mio punto di vista si sono buttati dei soldi; quando tornate carichi a 3000 allora i musicisti hanno dimostrato davvero di essere animali da palcoscenico e di saper conferire un alto valore aggiunto alla pura esecuzione dei brani.
Dopo il tripudio dell'ultima canzone (che non poteva che essere I'd rather dance with you) i KOC e la band di Castello ci salutano, ma il pubblico non ne ha abbastanza e li richiama a gran voce, così i due tornano sul palco prima per una versione di Una ragazza per due eseguita insieme alla band e poi per un'ultima canzone intima, suonata a due. Segue infine la foto di rito con tutto il pubblico di Villa Ada!
È chiaro che i KOC amano Roma e soprattutto amano Villa Ada (raccontano del primo concerto in questa location nel 2004 al quale inaspettatamente arrivarono 5000 persone, loro che ancora non erano famosi come oggi) e il pubblico (di tutte le età, dai giovanissimi a persone quasi anziane) ricambiano questo amore in maniera completa e viscerale.
Quindi in futuro se vi propongono un concerto dei KOC non dite di no. Ascoltatemi.
Voto: 4/5
Dopo il tripudio dell'ultima canzone (che non poteva che essere I'd rather dance with you) i KOC e la band di Castello ci salutano, ma il pubblico non ne ha abbastanza e li richiama a gran voce, così i due tornano sul palco prima per una versione di Una ragazza per due eseguita insieme alla band e poi per un'ultima canzone intima, suonata a due. Segue infine la foto di rito con tutto il pubblico di Villa Ada!
È chiaro che i KOC amano Roma e soprattutto amano Villa Ada (raccontano del primo concerto in questa location nel 2004 al quale inaspettatamente arrivarono 5000 persone, loro che ancora non erano famosi come oggi) e il pubblico (di tutte le età, dai giovanissimi a persone quasi anziane) ricambiano questo amore in maniera completa e viscerale.
Quindi in futuro se vi propongono un concerto dei KOC non dite di no. Ascoltatemi.
Voto: 4/5