Grazie all'Arena del Nuovo Sacher che ospita il Rendez-Vous, festival del cinema francese, torno finalmente e con grande emozione a godere della visione su grande schermo, per me assolutamente insostituibile.
Dopo l'apertura con il film di Arnaud Desplechin che decido di non andare a vedere, eccomi insieme a F. e R. a vedere Sibyl, il film della regista Justine Triet che è in programma il secondo giorno.
L'arena è organizzata secondo le regole del distanziamento interpersonale e i posti sono esauriti, segnale che la gente ha voglia di tornare al cinema.
Insomma le premesse per una bella serata ci sono tutte. Però fin dalle prime battute il film della Triet si rivela sovraccarico e un po' pasticciato. Sibyl (Virginie Efira) è una psicologa con un passato da scrittrice. Ha un compagno e due figlie, e ha deciso che vuole tornare a scrivere. Così lascia i suoi clienti per dedicarsi completamente alla scrittura.
Non riesce però a dire di no alla richiesta di aiuto di Margot (Adèle Exarchopoulos), un'attrice incinta di un uomo (Gaspard Ulliel) sposato con la regista per cui sta girando un film. Margot ha bisogno di essere supportata nella decisione di abortire, e Sibyl a poco a poco viene completamente risucchiata nella sua vita, anche perché si identifica con la condizione della donna che le ricorda lei stessa ai tempi in cui era innamorata di Gabriel (Niels Schneider) ed era rimasta incinta di lui.
I transfert incrociati e le manipolazioni reciproche innescano una spirale nella quale Sibyl - che è convinta di governare il gioco come fa con il suo romanzo - finisce psicologicamente schiacciata, infine costretta a fare i conti con i suoi fantasmi: la madre, l'alcolismo, l'amore per Gabriel, il rapporto con la figlia avuta da quest'ultimo.
Il film della Triet gioca su un montaggio nervoso e serrato che fa ping pong tra passato e presente mettendo continuamente alla prova - a volte invero inutilmente - l'attenzione dello spettatore, e altrettanto convintamente oscilla tra registri differenti che vanno dal thriller alla commedia sociale al dramma psicologico.
Per questa operazione sovrabbondante e a mio avviso piuttosto confusa e pretenziosa la Triet si avvale di un cast di prim'ordine che però non riserva alcuna sorpresa visto che gli attori sembrano ripetere stancamente alcuni dei loro più tipici personaggi. La coppia Efira-Schneider (che è coppia anche nella vita) mi ha ricordato fin troppo le dinamiche della coppia protagonista di Un amour impossible della Corsini. La Exarchopoulos non riesce a uscire dal personaggio lacrimoso e fisico de La vita di Adele e Ulliel fa sempre il bel tenebroso un po' stronzo. Anche i comprimari sono perfettamente calati in ruoli assolutamente tagliati su di loro. Forse il personaggio se vogliamo più originale e divertente è quello della regista del film in cui recita Margot, Mika (Sandra Hüller, di cui devo recuperare Vi presento Toni Erdmann), sufficientemente sopra le righe per rappresentare qualcosa di dirompente nella narrazione.
Per il resto il film è abbastanza pieno di stereotipi e luoghi comuni, nonché di trip mentali un po' stucchevoli. E forse la cosa migliore - tra l'altro tipica dei film francesi (mi ha ricordato alcuni passaggi del film Il gioco delle coppie di Assayas) - è la tirata iniziale dell'editore di Sibyl sul fatto che nessuno legge più e sugli effetti collaterali di una vita tutta vissuta online.
E comunque evviva il cinema sul grande schermo (e in lingua originale).
Voto: 2,5/5
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