Ormai sono una habitué dei concerti di Micah P. Hinson al punto tale che conosco i volti delle persone che, come me, non si perdono nemmeno uno degli appuntamenti con il musicista texano.
Questa volta l'occasione di ascoltarlo dal vivo è offerta dal Festival Sabir, il festival diffuso delle culture mediterranee si è svolto dal 10 al 13 ottobre alla città dell'altra economia di Roma.
L'ingresso è gratuito e il festival è all'aperto. Io arrivo come sempre molto presto per potermi sistemare molto davanti, sotto il palco. Quando arrivo vedo che Micah P. Hinson è già in giro e chiacchiera con alcune persone non lontano dal palco. Intorno alle 21,15 inizia l'opening che è affidato a Krano, un ragazzone che con la sua chitarra - con l'aggiunta talvolta dell'armonica da bocca - comincia a intonare canzoni intimiste in un dialetto che faccio fatica a comprendere. Guardando su Internet, scopro che Krano è il progetto musicale di Marco Spigariol, che dal 2012 - dopo alcune esperienze musicali, anche internazionali - si è ritirato nel suo paese di origine, a Valdobbiadene, e ha cominciato a comporre canzoni nel dialetto locale.
Devo dire che il suo mini-concerto non mi conquista pienamente, ma apprezzo alcune canzoni e soprattutto l'atteggiamento umile e tenero che Krano ha sul palco e con il pubblico.
Dopo un rapido cambio, sale sul palco Alessandro "Asso" Stefana, il musicista italiano che da qualche tempo accompagna Micah nei suoi tour, e comincia a provare e ad accordare tutti gli strumenti. Tutto è pronto.
Intorno alle 22, sale sul palco Micah accompagnato da Stefana e da Paolo Mongardi, il batterista, ricostruendo la formazione che ho già avuto modo di ascoltare al Monk nel marzo del 2023 e che mi aveva regalato un bellissimo concerto.
Come allora Stefana cura gli arrangiamenti e funge da polistrumentista, suonando il basso, la chitarra, la tastiera, l'armonica da bocca e la steel guitar, mentre Micah alterna chitarra elettrica e acustica. Mongardi mette la ciliegina sulla torta con il suo modo mirabile di suonare la batteria, producendo sonorità, ritmi e arrangiamenti molto diversi.
Micah ci saluta in spagnolo e ci dice che da qualche tempo vive a Madrid, anche se ci ricorda - come sempre - di venire dal Texas. Ormai il suo look con capigliatura da nativo americano, abbigliamento da cowboy e cappellone con la piuma si è quasi standardizzato, almeno per chi - come me - lo conosce da tempo.
Anche il suo modo di stare sul palco è per me ormai talmente riconoscibile, nell'alternanza di canzoni suonate rabbiosamente, altre invece dolorosamente, mentre tra una canzone e l'altra Micah ci racconta delle cose (di carattere personale, ma anche tante di tipo politico) e non nasconde in alcun modo la sua personalità decisamente originale e a suo modo eccentrica.
Chi conosce la sua storia personale sa che Micah è quasi un sopravvissuto: mentre parla di quello che gli è accaduto, dice anche di quando era sposato, e io ricordo il concerto al Monk in cui c'era la moglie con il figlio. Insomma, ogni volta con Micah è come ritrovare un vecchio amico la cui vita ha sempre avuto dei percorsi strani e imprevedibili, ma a cui non puoi che volere bene per la naiveté e la sincerità che lo caratterizzano.
E poi ascoltarlo suonare e cantare è sempre uno straordinario viaggio emotivo che non può lasciare indifferenti, e che - devo dire - gli arrangiamenti di Stefana hanno ulteriormente impreziosito e accentuato.
Non ho tenuto traccia puntuale della scaletta, ma direi che a naso ha strutturato il concerto come fa di solito negli ultimi tempi: canzoni dell'ultimo album (tra cui alcune delle mie preferite, Carelessly, What does it matter now, Me & you che si alternano a suoi grandi classici (stasera Beneath the rose è la seconda canzone in scaletta) e a cover più o meno famose (tra cui Please daddy, don't get drunk this Christmas), alcune delle quali sono anche entrate nei suoi album.
In questo caso ci delizia anche - nel bis inevitabile - con una vera e propria canzone country che non gli avevo mai sentito suonare e di cui purtroppo non ho colto né il titolo né l'autore, ma solo il commento di Micah che ci dice che il country è il male, perché lì in qualche modo si annida il peggio del genere umano, ma che qualcosa della tradizione del country si può ancora recuperare.
Un concerto che nei contenuti non è stato molto diverso da quello dello scorso anno, e forse per questo sono rimasta meno colpita, o forse perché il tipo di concerto era più adatto a una location intima come quella del Monk, ma Micah P. Hinson accompagnato dai due musicisti italiani resta uno spettacolo da non perdere.
Voto: 3,5/5
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