Vado a vedere questo film attirata dal fatto che la sua sceneggiatura è l’adattamento del romanzo omonimo di Ottessa Moshfegh, a cui la stessa scrittrice ha partecipato. Non che io conosca bene la Moshfegh (ho letto solo Il mio anno di riposo e oblio che nemmeno mi era piaciuto particolarmente), però trovo che nel suo sguardo obliquo sull'esistenza ci sia qualcosa di affascinante e nello stesso tempo di inquietante.
Per cui l’idea di una declinazione noir di questo sguardo mi è sembrata particolarmente attraente.
Siamo negli anni Sessanta. La storia è quella di Eileen (la bravissima Thomasin McKenzie), una giovane donna che vive in un paesino del Massachussets, dove lavora come segretaria nel carcere minorile e vive con il padre, ex poliziotto e alcolista. La vita di Eileen è monotona e infelice, e tutto il suo desiderio di ribellione cova sotto una superficie incolore e anonima, ma nel privato della sua macchina (che perde monossido nell'abitacolo, ma che Eileen non fa riparare) e della sua camera. Eileen esprime tutta la sua frustrazione attraverso fantasie che non si trasformano mai in azione, se non attraverso masturbazione e caramelle succhiate ma non masticate.
Quando nel carcere dove lavora arriva Rebecca Saint John (la conturbante Anne Hathaway), psicologa elegante e assertiva, totalmente distante dal modello femminile remissivo che Eileen ha conosciuto fino a quel momento, Eileen ne è immediatamente conquistata, anche perché contro ogni pronostico Rebecca si interessa a lei e le due diventano amiche, se non qualcosa di più.
Man mano che Rebecca è coinvolta nel caso di Lee Polk – che ha ucciso a coltellate il padre – anche Eileen viene trascinata nel desiderio della dottoressa di far luce sul caso, anche attraverso metodi non convenzionali e totalmente fuori dalle regole deontologiche. Per Eileen sarà l'occasione per tirare fuori i desideri sopiti e dare una possibile svolta alla propria esistenza.
Quello di William Oldroyd è costruito come un noir classico, nel rispetto delle scelte narrative del romanzo della Moshfegh, e - oltre a scegliere una cifra stilistica e visiva assolutamente coerente con i suoi modelli (il buio che domina sovrano, gli squallidi interni delle case, i bar pieni di fumo, i percorsi in macchina in strade che attraversano boschi e campagne) – non tralascia alcuna delle tematiche tipiche del genere (la provincia noiosa e becera, l'assenza di prospettive, la violenza e gli abusi che la attraversano, il maschilismo dominante). A fronte di questa confezione e narrazione, Eileen riesce però al contempo a essere estremamente moderno, rovesciando alcuni topoi e mettendo al centro del racconto sì una femme fatale (il cui nome, Rebecca, è tutto un programma), ma ancora di più una giovane donna che, trascinata nel suo gioco e poi inevitabilmente tradita, coglie comunque l'occasione di questa potenziale discesa agli inferi per intraprendere – forse – un percorso di emancipazione e di liberazione dalla insostenibile cappa che la sovrasta e dalla prigione in cui è rinchiusa.
Non tutto nel film di Oldroyrd è perfettamente riuscito, e alcune cose non sono molto credibili – anche questo, forse, nella tradizione del miglior noir – ma il risultato di tensione e di oscura angoscia è perfettamente raggiunto, anche grazie all'inserimento di sequenze immaginarie che aggiungono turbamento a turbamento.
Voto: 3,5/5
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