Dopo aver scoperto, ormai ben cinque anni fa, la drammaturgia di Annibale Ruccello con Ferdinando, io e F. abbiamo costantemente inseguito la rappresentazione delle sue opere nei teatri romani.
L’autore napoletano, scomparso tragicamente in un incidente stradale nel 1986 a soli 30 anni, era uno dei principali rappresentanti del nuovo teatro napoletano, e nella sua vita sfortunatamente breve era riuscito già a imporsi all’attenzione del pubblico e della critica con un piccolo (ma significativo se si considera la sua età) numero di opere. Il tempo ne ha consacrato la grandezza e ha confermato la straordinaria modernità dei suoi testi.
Per quanto mi riguarda la scoperta del teatro di Ruccello è stata l’innesco di una serie di importanti scoperte e passioni: è inseguendo Ruccello nello spettacolo Notturno di donna con ospiti che ho conosciuto il grande Arturo Cirillo, è andando a vedere gli spettacoli con Cirillo che ho conosciuto la drammaturgia di un altro esponente del teatro napoletano degli anni Ottanta, Giuseppe Patroni Griffi, ed è sempre per il tramite di Ruccello che ci siamo avvicinate anche a Enzo Moscato e, sebbene non del tutto consapevolmente, ad alcune opere di Manlio Santanelli.
Fin dalla prima conoscenza con il teatro di Ruccello ho iniziato a sentir parlare de Le cinque rose di Jennifer, la sua prima opera rappresentata, e ho desiderato poterla vedere a teatro. Finalmente quest’anno il Teatro Vascello mi offre questa mette in cartellone quest’opera, anzi fa ancora di più, offrendomi la possibilità di partecipare alla presentazione dell’edizione critica del testo, a cura di Vincenzo Caputo, presente insieme a Pasquale Sabbatino (direttore della collana), Carlo De Nonno (compositore ed erede di Ruccello), Daniele Russo e Sergio Del Prete (interpreti dello spettacolo).
Daniele Russo è interprete napoletano che già conoscevo per averlo visto protagonista di un paio di spettacoli teatrali per la regia di Alessandro Gassman, ma qui è diretto da suo fratello Gabriele Russo, insieme al quale e alla sorella Roberta dirige il teatro Bellini di Napoli.
A livello narrativo Le cinque rose di Jennifer mi ha richiamato alla mente sia Scende giù per Toledo, di Patroni Griffi, sia Scannasurice, di Enzo Moscato, tutti aventi come protagonista un travestito dei bassi napoletani, a conferma della comunanza di orizzonti che caratterizza questi autori.
Nell’opera di Ruccello la protagonista è Jennifer, che è in casa in attesa della telefonata di Franco, l’uomo del quale si è innamorata. Mentre al telefono di Jennifer arrivano molteplici telefonate, spesso destinate ad altre persone a causa di un guasto alla linea, alla radio si alternano le telefonate delle ascoltatrici, le canzoni di Mina, Patti Pravo, Milva, Romina Power, e le notizie che riguardano un serial killer che uccide travestiti nel quartiere.
Come la Rosalinda Sprint di Patroni Griffi, Jennifer è un personaggio che oscilla tra l’esilarante e il dolente fino ad arrivare al tragico, e che dietro la sfrontatezza e la capacità di sdrammatizzare, amplificata dalla sua napoletanità, nasconde una profonda solitudine, un desiderio di affetto e di considerazione continuamente frustrato, una vera e propria angoscia esistenziale che sarà portata all’esasperazione prima dal dialogo con la vicina di casa e poi dalla temporanea mancanza di corrente e di linea telefonica.
Sulla scena, Daniele Russo è una Jennifer dalla fisicità straordinaria, il cui volto è una maschera napoletana che si fa sempre più grottesca, e dimostra un’eccezionale capacità empatica, realizzando così appieno le potenzialità del testo di Ruccello di produrre nello spettatore una forte immedesimazione. La presenza nell’ombra di Sergio Del Prete, a impersonare una specie di alter ego, coscienza alterata o essenza sentimentale di Jennifer, contribuisce a potenziare il gradiente emotivo dello spettacolo e il senso di claustrofobia che lo caratterizza e che è reso evidente da una scenografia in cui la stanza di Jennifer è un cerchio con un confine definito, fuori della quale si muove soltanto la sua coscienza riflessa impersonata da Del Prete, ovvero la versione “onirica” o la personificazione dei pensieri della stessa Jennifer.
Negli ultimi tempi mi capita spesso al teatro di avere momenti di calo dell’attenzione, se non di vero e proprio abbiocco, tanto che comincio a pensare che sia colpa della vecchiaia, ma questo spettacolo mi tiene desta dal primo all’ultimo minuto, trascinandomi in stati emotivi diversi e contrapposti, cui mi abbandono con fiducia ed entusiasmo.
E così non posso che sottoscrivere quanto aveva detto nella presentazione il curatore dell’edizione critica, Vincenzo Caputo, ossia che a distanza di oltre 40 anni, e nonostante gli elementi scenici datati (la radio, il telefono a disco), il testo di Ruccello mantiene intatta la sua potenza e conferma la sua inscalfita modernità, data anche da una costruzione della drammaturgia in chiave fortemente cinematografica, in cui sono colpita – tra le altre cose - dall’uso diegetico ed extradiegetico della musica.
Voto: 4/5
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