Paolini torna a teatro con uno spettacolo che è dichiaratamente l’erede della serie televisiva La fabbrica del mondo (che io confesso di non aver mai visto ma che si può recuperare su RaiPlay), caratterizzata dal mix di narrazione teatrale e divulgazione scientifica.
Sullo sfondo di una scenografia fatta di un enorme castello di carte, a simboleggiare la fragilità degli equilibri su cui si fonda la vita umana, Marco Paolini mette insieme il racconto autobiografico con l’informazione e la riflessione relative principalmente al tema del cambiamento climatico e dell’impatto che l’antropocene sta avendo sugli equilibri della terra e nello specifico sulle prospettive di sopravvivenza del genere umano.
Del resto, Paolini non è nuovo a questo tipo di temi che già in parte erano presenti nello spettacolo che si chiamava appunto #Antropocene (sebbene lì con una più marcata attenzione all’aspetto della tecnologia e dell’interconnessione), che io avevo visto all’Auditorium.
Nell’ambito di questa narrazione non mancano riferimenti ad altri temi caldi per la nostra società, come ad esempio quello dei migranti e dei salvataggi in mare, ma nel complesso lo spettacolo di Paolini appare più “leggero”, divertito e divertente rispetto ad altri suoi del passato, a conferma che in questo momento storico (tra una pandemia e una guerra alle porte dell’Europa) il mondo del teatro, anche quello da sempre impegnato com’è il teatro di Paolini, riconosce l’esigenza della leggerezza come valore di condivisione e creazione della comunità.
La presenza sul palco del musicista Lorenzo Monguzzi, compositore - insieme a Saba Anglana (entrambi già coinvolti nello spettacolo Nel tempo degli dei) - delle musiche originali e commentatore in musica dei vari passaggi dello spettacolo, talvolta accompagnato nel canto dallo stesso Paolini, dà ritmo allo spettacolo, mantenendosi in linea con il suo tono oscillante tra il leggero e l’impegnato.
Le storie narrate da Paolini sono varie e di varia provenienza. Personalmente ho particolarmente apprezzato quella – nella prima parte dello spettacolo – che racconta il primo e unico incontro dell’autore con Carmelo Bene nel 1983, per uno spettacolo organizzato nel profondo veneto da un gruppo di giovani intellettuali e attivisti tra cui lo stesso Paolini. Il racconto è in sé esilarante, e anche l’imitazione della personalità narcisista e tronfia del grande uomo di teatro.
Bello anche il racconto “Cattedrale”, che incornicia lo spettacolo ed è dedicato alla storia della costruzione della Sagrada Familia e al genio immaginifico di Guadì che ideò quest’opera sapendo che non sarebbe in ogni caso stata completata prima della sua morte.
Non mancano i riferimenti anche alla storia più recente, e in particolare al periodo del lockdown con tutti i suoi significati e le sue conseguenze. E in un certo senso a questo si ricollega anche il titolo dello spettacolo SANI! che, come ci spiega Paolini, è in realtà una forma di saluto che veniva (e in parte viene) utilizzata nelle valli delle Prealpi e Alpi venete, e che ora suona come un augurio particolarmente adatto al momento storico che stiamo vivendo.
Uno spettacolo – come sempre sono quelli di Paolini – gradevole e stimolante, sebbene abbia avuto qualche momento di calo di attenzione nella parte centrale.
Voto: 3,5/5
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