Nella quiete del tempo / Olga Tokarczuk; trad. di Raffaella Belletti. Milano: Bompiani, 2020.
Avevo conosciuto Olga Tokarczuk con Guida il tuo carro sulle ossa dei morti e me ne ero innamorata. E così ho deciso di approfondire la conoscenza leggendo qualcos'altro.
La mia attenzione è stata catturata da Nella quiete del tempo perché - si sa - sono abbastanza ossessionata dal tema del tempo e da che cosa questo significhi per l'essere umano.
Non pensavo sinceramente di trovarmi di fronte a un libro così originale.
Siamo a Prawiek, un paesino polacco immaginario attraversato da due fiumi, il Bianca e il Nera. Questo luogo costituisce l'elemento di connessione tra i numerosi personaggi che popolano il romanzo della Tokarczuk, alcuni dei quali vivono in questo paese, mentre altri lo attraversano o ci stazionano per un tempo più o meno lungo, a cavallo tra le due guerre. Protagonisti dei capitoli che costituiscono il racconto sono però, oltre agli esseri umani, anche oggetti, animali e Dio stesso, tutti - compreso quest'ultimo - soggetti alla tirannia del tempo, seppure in modi diversi.
La caratteristica più peculiare del romanzo è l'approccio fiabesco, che conferisce alla narrazione un'atmosfera sospesa e fantastica, che a tratti mi ha fatto pensare all'universo fantastico de Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile.
Come in questo caso, infatti, i personaggi della Tokarczuk sono spesso estremi o sopra le righe, alle prese ciascuno con i propri demoni che spesso - e quasi inevitabilmente - sono la causa delle loro parabole individuali. Tra questi, Spighetta e la sua marginalità, il castellano Popielski e il gioco degli Otto Mondi, Genowefa e il mulino, Michal e la guerra, Misia e il suo macinino, Florentinka e la luna, e moltissimi altri.
Realismo e fantasia si intrecciano continuamente per offrire al lettore l'occasione di riflettere sul ciclo della vita umana e sulla sua sostanzialmente insensatezza.
Nella quiete del tempo è certamente un romanzo molto meno nelle mie corde rispetto a Guida il tuo carro sulle ossa dei morti; eppure tra i due riconosco diversi elementi di continuità: il rapporto tra l'uomo e la natura, una religiosità quasi pagana, la mescolanza di un tono ironico e uno drammatico, l'assenza di manicheismi (non ci sono buoni né cattivi assoluti), nonché l'assenza di giudizio, sostituito semmai da una compassione e una empatia che si esprimono nei confronti di tutti gli elementi dell'universo viventi e non.
Al termine della lettura, confermo il mio apprezzamento per la scrittura della Tokarczuk, ma sono meno conquistata. Toccherà leggere un terzo romanzo (ne è appena uscito un altro per Bompiani, Casa di giorno, casa di notte), per capire se è vero amore (con tutti gli alti e bassi che lo caratterizzano), o solo un'infatuazione bella finché è durata.
Voto: 3/5
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