Julie (Laure Calamy) è madre di due bambini, vive con loro in una casetta di un paese di campagna della cintura parigina e lavora a Parigi come prima governante in un albergo di lusso, lavoro sicuramente inferiore alle sue qualifiche, ma necessario per permetterle di sopravvivere.
Il film di Eric Gravel racconta qualche giorno della vita di Julie, entrando immediatamente in medias res, dal momento in cui la sua sveglia suona e Julie deve prepararsi e preparare i bambini per portarli dalla signora che glieli tiene durante il giorno, mentre lei va a lavorare a Parigi.
Sono giorni di scioperi e manifestazioni, in cui la vita da pendolare è un incubo, e le giornate già estremamente complicate di Julie sembrano andare incontro a una escalation di difficoltà nel momento in cui le cose al lavoro sembrano mettersi male, il suo ex marito non risponde al telefono, i soldi sul conto finiscono, la babysitter dei bambini dichiara la propria indisponibilità ad andare avanti e il colloquio per un nuovo lavoro non sembra portare gli esiti sperati.
Full time è un film adrenalinico, una specie di film d’azione virato verso il thriller, in cui però la protagonista non deve sfuggire a inseguitori e dimostrare la propria maestria nell’uso delle armi e la propria agilità nello sfuggire alle situazioni di pericolo, bensì una donna come mille altre che tutti i giorni deve fare i conti con le difficoltà “normali” di una madre single lavoratrice e le aspettative proprie e altrui nello svolgimento di questi ruoli.
Il film di Gravel non risparmia allo spettatore un centesimo dell’ansia di Julie, facendo sentire sulla propria pelle gli effetti del “tritacarne” quotidiano del quale lei – ma in fondo tutti noi – siamo prigionieri. Paradossalmente il momento più disperante del film è anche l’unico nel quale per un attimo si può tirare il fiato.
Ancora una volta il cinema francese dimostra di essere uno dei pochi – se non l’unico – capace (non a livello di singoli registi, ma come approccio complessivo) di parlare delle dinamiche sociali del nostro presente e degli effetti devastanti del nostro modello socioeconomico sulle vite individuali. I registi francesi, raccontando storie - se vogliamo ordinarie - di singole persone, riescono a parlare un linguaggio universalmente comprensibile e, attraverso l’immedesimazione empatica, ci costringono a riflettere su tutto quello che quotidianamente diamo per scontato e a ricondurre le storture delle nostre vite individuali a meccanismi sociali più ampi.
Non è un merito da poco e rivela una società che, pur caratterizzata dalle medesime dinamiche proprie di tutto il mondo occidentale e non solo, riesce evidentemente ancora a coltivare al suo interno occasioni di una riflessione collettiva e stimoli a portare all’attenzione e mettere in discussione i nostri stili di vita e i nostri modelli sociali ed economici.
Full time è dunque un film decisamente apprezzabile sul piano della fattura e dell’orizzonte di senso. Da vedere.
Voto: 3,5/5
A me è piaciuto molto, nella mia recensione gli ho dato un punto in più: soprattutto per la bravura della protagonista (che infatti è stata premiata a Venezia). Sono comunque d'accordo con te: oggi il cinema francese è forse l'unico in Europa che ha il coraggio di denunciare le storure della società (e pensare che una volta il cinema d'impegno sociale era il nostro fiore all'occhiello... che tristezza)
RispondiEliminaEffettivamente lei bravissima!! Eh sì, la Francia nel sociale ci ha surclassati! Buona Pasqua Kris!
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