Ormai vado a vedere i film di Sorrentino a prescindere, come un collezionista fa con tutti i possibili pezzi della sua collezione. Non potevo dunque perdere il suo ultimo lavoro presentato a Cannes, che in qualche modo prosegue il mood nostalgico-napoletano di È stata la mano di Dio.
Al centro di questo racconto Parthenope (Celeste Dalla Porta), che nasce nel mare della spiaggia privata sotto gli occhi di tutta la famiglia e in particolare di suo fratello Raimondo, con cui è destinata ad avere un rapporto speciale. Dal momento della sua nascita, seguiremo poi Parthenope dalla sua giovinezza (quando ha circa 18 anni) fino all'età matura e poi alla vecchiaia, assistendo non solo e non tanto alla sua vita, quanto ai suoi incontri e alle sue molteplici incarnazioni che la porteranno in tutti gli ambienti della città, dai vicoli del centro al fianco del boss di turno, alle aule universitarie prima come studentessa poi come docente, alle ville di Posillipo durante feste di lusso nonché nelle dimore decadenti, al duomo della città per scoprire il mistero del sangue di San Gennaro insieme al cardinale che se ne occupa, nella casa di una diva del cinema dal volto nascosto e poi all'incontro con un'altra diva che ha lasciato da tempo la città. Parthenope si allontanerà da Napoli per poi ritornarci proprio nel momento dei festeggiamenti per lo scudetto della squadra cittadina.
Ho sentito pareri opposti e contrastanti su questo film. Dal mio piccolo e statisticamente non significativo angolo di visuale mi pare che il film sia piaciuto molto ai napoletani, soprattutto uomini, meglio se di mezza età, meglio ancora se emigrati. Del resto, è indubbio che il sentimento che promana dal film di Sorrentino è quello di una nostalgia profonda (in cui si mescolano emozioni anche contraddittorie) verso Napoli, che - siamo direi tutti d'accordo - non è una città qualsiasi, bensì un luogo dotato di un'identità fortissima che si incarna in tutte le molteplici e multiformi sfaccettature della napoletanità.
Sarà che conosco ben poco Napoli e non ho una storia emotiva che mi lega a questa città, ma personalmente non sono riuscita a "sentire" il film e dunque non sono stata in grado di gettare il cuore al di là del manierismo, del gusto estetizzante, dell'iperbole, del grottesco, dell'assiomatico di cui il cinema sorrentiniano è sempre più denso. Non che da questo punto di vista La grande bellezza fosse tanto diverso, ma - sarà per il rapporto più articolato e stratificato che ho con la città di Roma - in quel caso la cifra sorrentiniana mi aveva risuonato di più.
Qui mi è rimasto tutto piuttosto estraneo e un po' sconclusionato, a tratti fastidioso (soprattutto nel modo in cui si sofferma e insiste sul corpo di Parthenope), a tratti noioso.
Eppure, Sorrentino non è tanto più vecchio di me (ci separano solo tre anni), e condivido con lui la scelta di essere andata lontana dal mio luogo di origine, così come l'aver attraversato fasi di repulsione e fasi di recupero nostalgico e non solo con la mia terra. Eppure, il modo in cui Sorrentino traduce tutto questo in racconto per immagini e per parole non mi ha raggiunto.
Voto: 3/5
Ho visto i suoi primi film e li ho apprezzati tutti. Mi mancano proprio gli ultimi e Parthenope non volevo perderlo ma non mi vergogno assolutamente a dire che dopo un'oretta circa sono uscita di sala. L'ho trovato insopportabile. Nello stesso tempo ho ascoltato pareri discordi ma anche un podcast di ragazzi giovanissimi che lo hanno decantato, ho ammirato la loro lettura e il loro entusiasmo che ho apprezzato più del film stesso. Ma questo è, non riesco a mentire, un film lo devo particolarmente sentire, purtroppo questo mi ha fatto ripetutamente sbuffare.
RispondiEliminaCiao Anna!
Che dirti? Capisco perfettamente che può averti prodotto questa reazione. Come capisco i ragazzi entusiasti. Alla fine, fatta la tara della qualità cinematografica, il cine a è emozione. Che può esserci o no.
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