Il MedFilm Festival è un festival cinematografico che ormai da trent'anni porta all'attenzione degli spettatori romani storie che riguardano i paesi che si affacciano intorno al Mediterraneo, questo nostro mare comune, che però è anche luogo di divisioni geopolitiche e culturali.
Il programma di quest'anno è molto interessante, ma io riesco a vedere un solo film che è forse quello che non andava perso.
No other land è il lungometraggio documentario realizzato da un collettivo israelo-palestinese, formato dall'avvocato e giornalista palestinese Basel Adra e dal giornalista israeliano Yuval Abraham, che sono anche presenti in video e protagonisti della storia, e da Hamdan Ballal e Rachel Szor. Il documentario è stato premiato al Festival di Berlino, sebbene la vittoria e soprattutto il discorso che Adra e Abraham hanno fatto sul palco ritirando il premio abbia suscitato molte polemiche (qui un'intervista ai due), non tanto per quanto hanno detto (secondo me piuttosto ragionevole) bensì perché è diventato ormai impossibile un dibattito sul tema del conflitto israelo-palestinese, anche quando a parlare sono gli stessi protagonisti.
Il film è stato girato nell'arco di circa quattro anni, dal 2019 al 2023, nell'insediamento di Masafer Yatta, un insieme di 19 villaggi rurali abitati da palestinesi in Cisgiordania. Al centro del racconto Basel, che dopo aver studiato Legge, è tornato a casa in questo piccolo villaggio per raccogliere il testimone dell'attivismo non violento che da anni suo padre sta portando avanti. Il modo in cui Basel conduce questa battaglia consiste nel documentare con il suo smartphone e la sua videocamera la vita nel villaggio e soprattutto le numerose occasioni in cui l'esercito israeliano interviene con le ruspe a distruggere case, scuole, stalle, sulla base del fatto che quel territorio è stato dichiarato zona di addestramento militare. Intanto, ai confini della medesima area, negli anni crescono le dimensioni degli insediamenti dei coloni israeliani, coloni che talvolta partecipano agli sgomberi insieme ai militari.
No other land è però anche la storia di un'amicizia, quella tra Basel e Yuval, un giovane giornalista israeliano che a sua volta sta provando a raccontare quello che succede in questi territori attraverso la conoscenza diretta e la documentazione. I due sono coetanei e tutto sommato condividono anche la lettura della realtà, pur appartenendo a campi teoricamente opposti, però la loro collaborazione e amicizia mette anche in evidenza le diseguaglianze di trattamento e le discriminazioni, dal momento che mentre Yuval può muoversi liberamente con la sua macchina, Basel e i palestinesi sono praticamente reclusi nei territori occupati, e controllati, se non minacciati, dalle forze israeliane.
A poco a poco, attraverso questo racconto in presa diretta, emergono così la frustrazione, la rabbia, il dolore, la depressione che gli abitanti di queste terre vivono sulla loro pelle di fronte all'ingiustizia e all'impossibilità di una vita normale.
Anche Basel, pur con la solidità del suo attivismo, ha forti momenti di scoramento, quando si rende conto che, per quanto si porti all'attenzione del mondo quanto accade, nulla cambia, se non in peggio, e la causa palestinese è solo occasione di esercizio di potere - come nel caso della visita di Tony Blair - ovvero di esposizione mediatica del dolore - come nel caso delle numerose troupe che arrivano a documentare e intervistare, senza avere di fatto alcun impatto sulla realtà.
In questa guerra tra le due parti - lì dove non diventa violenta e armata, cosa che non accade di rado, con conseguenze a volte tragiche - è combattuta a colpi di smartphone che riprendono le situazioni da punti di vista opposti, una specie di guerra di propaganda che conferma - se ancora ce ne fosse stato bisogno - la non oggettività delle immagini, anche quelle in movimento, che nel nostro mondo iperesposto vengono utilizzate a sostegno di tutto e del contrario di tutto.
Lo stesso Basel a un certo punto del film esprime chiaramente la sua frustrazione in proposito, sapendo ormai per esperienza che, anche qualora queste immagini dovessero raggiungere un numero elevato di persone, in concreto nulla cambierebbe, come niente è cambiato fin qui.
Si esce dal cinema con lo stesso senso di frustrazione e di impotenza, da spettatori di una storia che si compie sotto i nostri occhi e di cui portiamo e porteremo il peso nel giudizio dei posteri.
Voto: 3,5/5
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