Palestina / Joe Sacco. Special edition. Milano: Mondadori, 2018.
Sollecitata dalla guerra in corso e consapevole della mia ignoranza e anche della incandescenza della materia, mi sono finalmente decisa a tirare giù dallo scaffale e a leggere Palestina, che è ormai un classico di graphic journalism (anche se forse Joe Sacco non sarebbe d'accordo con questa definizione).
Lo leggo nella versione Special edition, edizione cartonata che contiene - oltre all'introduzione di Edward Said - alcuni approfondimenti scritti dallo stesso Sacco su come è nato questo lavoro e anche sulle scelte fatte in termini di costruzione del racconto a partire dal diario che l'autore ha tenuto durante la sua permanenza in Palestina, durata due mesi tra la fine del 1991 e l'inizio del 1992, ai tempi della prima Intifada.
Joe Sacco è americano, e ci spiega che il motivo per cui ha deciso di andare in Palestina è stato la sua crescente insoddisfazione nei confronti dell'informazione molto parziale fornita dei media americani sulla vicenda israelo-palestinese.
Durante la visita in Palestina, Joe Sacco incontra moltissime persone, palestinesi e non, e in alcune fasi del viaggio è accompagnato per un tratto da alcune di queste persone, che lo ospitano ovvero lo accompagnano nelle sue esplorazioni.
Ne viene fuori un racconto della situazione palestinese che è parecchio agghiacciante, e sebbene - come lo stesso Sacco chiarisce nell'introduzione - il punto di vista è quasi esclusivamente quello palestinese, perché era proprio di quel punto di vista, carente negli Stati Uniti, che Sacco andava alla ricerca, l'autore riesce a garantire un approccio non buonista né privo di senso critico rispetto alla situazione, ma assolutamente sincero nel mostrare un popolo che vive da decenni in condizioni precarie e indecenti.
Utilizzando un tratto di tipo cartoonistico, Sacco crea nel lettore una forma di straniamento, che nasce dal contrasto che si produce tra un disegno che ha elementi talvolta caricaturali ovvero con venature satiriche (più che altro nel disegno delle persone, mentre i luoghi sono disegnati con una precisione documentaristica) e un racconto fatto di una sequenza infinita di orrori e tragedie (individuali e collettive). Nel mezzo un protagonista, lo stesso Sacco, con cui l'autore è davvero impietoso nel metterne in evidenza forme di codardia e di insofferenza, quasi facesse di tutto per rendercelo in qualche modo antipatico e così consentirgli di dire cose e fare commenti che non sempre sono politicamente corretti e che non nascondono alcun aspetto della realtà che racconta (quelli tragici, quelli quasi ridicoli - si veda la storia del tè offerto in ogni casa -, fino a quelli insopportabili). Questa scelta - o comunque questo approccio - costruisce un racconto davvero stratificato e non scontato, che rende appieno la complessità della situazione e suggerisce - più o meno consciamente - l'impossibilità di una soluzione, e soprattutto l'impossibilità di una soluzione pacifica o diplomatica.
Quello che abbiamo sotto gli occhi da diversi mesi è la conseguenza e la dimostrazione di quanto vediamo e leggiamo nel libro di Sacco e ha radici che ovviamente risalgono molto più indietro nel tempo.
Leggendo questo fumetto nomi di luoghi che sentiamo quotidianamente nei telegiornali acquistano concretezza e i disegni di Sacco ci consentono un vero e proprio bagno di realtà, quello in un territorio in cui le condizioni di vita delle persone - ben prima della attuale guerra - erano ben sotto il livello dell'accettabile.
Voto: 4/5
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