In questa caldissima estate romana, in cui le vacanze sono vicine ma non sono ancora arrivate, io e F. cerchiamo un po’ di refrigerio al cinema andando a vedere questo noir/poliziesco cinese, Il mistero scorre sul fiume, il cui titolo italiano non può non far tornare in mente La morte corre sul fiume di Charles Laughton, anche se la suggestione riguarda solo il pubblico italiano (visto che stiamo parlando di titoli tradotti).
Il film del regista cinese Wei Shujun è tratto dal racconto Errore in riva al fiume dello scrittore Yu Hua, contenuto nella raccolta Torture. Come spesso mi accade con il cinema, oltre a godere dello spettacolo, vedere un film è anche un’occasione di scoperta transmediale, che mi fa scoprire e avvicinare ad autori che non conoscevo e che a questo punto vorrei approfondire.
Siamo nel 1995 nella Cina rurale, in un piccolissimo paese lungo il fiume. Una donna anziana viene uccisa con una roncola mentre si trova vicino al fiume che scorre vicino al paese. Da qui prendono l’avvio le indagini della polizia locale, e in particolare del capitano Ma Zhe (Yilong Zhu), la cui moglie – scopriremo più avanti – aspetta un figlio.
Il capo di Ma Zhe – un militare pelato che trascorre le sue giornate giocando a ping pong, curando i bonsai e svolgendo altre amene attività – preme fin dal principio perché il caso venga risolto nel più breve tempo possibile, perché le gerarchie militari e le autorità politiche vogliono vantare successi rapidi e non tollerano il dubbio.
Il capitano Ma Zhe è però un uomo attraversato da vari tormenti interiori, e indagare su questo caso – che via via si allargherà con altri omicidi che si verificano sempre nella zona del fiume e più o meno con la stessa dinamica – lo condurrà a poco a poco negli abissi della propria coscienza producendo in lui uno stato di alterazione percettiva in cui il confine tra reale e immaginato si fa sempre più labile.
Il pazzo – ossia l’uomo sospettato degli omicidi – diventa per Ma Zhe un vero e proprio pensiero ossessivo assumendo significati via via più personali e diventando fonte di crescente turbamento, mentre le indagini portano via via alla luce realtà sommerse della piccola comunità rurale.
Il film di Wei Shujun è costruito come un noir classico, e certamente flirta con alcuni importanti modelli della cinematografia occidentale, e però resta un prodotto profondamente cinese nelle sue atmosfere ambientali e sociali.
Soprattutto, nonostante la tensione palpabile e il senso di angoscia che accompagna la storia e in particolare la parabola di Ma Zhe, il film è attraversato da una straordinaria ironia, che passa anche attraverso la riflessione su narrazione e metanarrazione, grazie, tra le altre cose, all’espediente – quasi in apertura – di far trasferire parte degli uffici della polizia locale sul palco di un cinema dismesso e la scrivania di Ma Zhe nella saletta del proiezionista. Per non parlare del fatto che il film si apre con una sequenza nella quale un bambino sta giocando con una pistola-giocattolo a fare il poliziotto alla ricerca di un criminale nelle stanze abbandonate di un palazzo in rovina, e che tutta l’indagine sarà costellata di velleitarismo, approssimazione ed errori grossolani, e si concluderà di fatto senza una verità.
Mentre dunque Ma Zhe sprofonda in forme di vera e propria allucinazione, e il suo universo onirico ricostruisce gli eventi degli omicidi ancora irrisolti, tutti diventiamo spettatori di una specie di messa in scena il cui vero obiettivo non è la ricerca della verità ma la costruzione di una storia plausibile e possibilmente rasserenante per la comunità e soprattutto per l’establishment politico.
Le atmosfere sono cupe e piovose, grigie, gli interni squallidi, tutto è livido, ma anche grottesco in un mix di generi che, pur nella specificità culturale, non ci risulta estraneo ed evoca uno strano sentimento di riconoscimento ed insieme di estraneità.
Mi sono chiesta come abbia fatto questo film – in buona parte critico verso la burocrazia militare – non solo ad arrivare a Cannes senza censure ma a circolare con grande successo nel paese d’origine. Ma – si sa – per noi la Cina rimarrà sempre un posto oscuro e di cui difficilmente potremo arrivare a comprendere i complessi e talvolta perversi meccanismi interni.
Voto: 3,5/5
Nessun commento:
Posta un commento
Lascia qui un tuo commento... Se non hai un account Google o non sei iscritto al blog, lascialo come Anonimo (e se vuoi metti il tuo nome)!