Vado a vedere questo film di Alex Garland con grandi aspettative, solo in parte attenuate dalla recensione decisamente non entusiastica di Matteo Bordone nel suo podcast (ma io e lui non sempre siamo allineati rispetto ai gusti cinematografici).
Mi attira e mi incuriosisce molto l'idea di vedere raccontata sul grande schermo una guerra civile negli Stati Uniti, vista attraverso gli occhi di una fotoreporter di guerra, Lee Smith (che ha il volto di Kirsten Dunst, e il cui nome sembra essere il risultato di una doppia citazione, quella di Lee Miller e di Eugene Smith, due iconici e straordinari fotoreporter di guerra).
La storia non è molto di più di questo. Lee svolge il suo lavoro da moltissimi anni e ha documentato guerre in tutto il mondo; ora, insieme al collega Joel (Wagner Moura) intende andare da New York a Washington D.C. per raccontare una nazione in guerra e intervistare il presidente, asserragliato a Capitol Hill, mentre le forze secessioniste di California, Texas e Florida si avvicinano. In questo viaggio on the road attraverso un paese in cui dilagano violenza e distruzione, Lee e Joel saranno affiancati da Sammy (Stephen McKinley Henderson), un vecchio giornalista del New York Times, e da Jessie (Cailee Spaeny), una aspirante fotoreporter che ha una vera e propria ammirazione per Lee. Molte cose accadranno durante questo viaggio, e le relazioni tra questi personaggi cambieranno anche in conseguenza delle numerose difficoltà e pericoli che dovranno affrontare insieme.
La distopia di una nazione come gli Stati Uniti travolta da una guerra civile è ovviamente suggestiva e anche preoccupante, soprattutto se guardata con gli occhi di un presente in cui questa prospettiva appare molto meno assurda di quanto potrebbe o dovrebbe. Va detto però che il film non mi pare voglia approfondire particolarmente questo aspetto. Cosicché - per come l'ho letto io - il focus è piuttosto sul ruolo dei media nella documentazione dei conflitti e in particolare sulla professione del fotoreporter, con tutte le implicazioni di carattere etico che la caratterizzano (e che sono concentrate in particolare nel rapporto tra Lee e Jessie).
D'altra parte, nemmeno su questo tema, pur centrale - com'è confermato anche dal fatto che durante l'azione ogni tanto vediamo dei fermi immagine a colori o in bianco e nero che sono le fotografie rispettivamente di Lee e di Jessie - posso dire che sia stato fatto un particolare lavoro di approfondimento, che renda il film speciale. Il che insieme ad altri aspetti che mi hanno lasciato un po' perplessa - il commento musicale di alcune sequenze narrative, gli inserti presuntamente poetici in momenti drammatici, la violenza in qualche caso un po' gratuita, il girato che a volte fa pensare a un videogioco sparatutto - ha fatto sì che arrivassi alla fine del film sostanzialmente delusa. Con chi mi ha chiesto un giudizio sintetico non ho potuto fare a meno di usare il termine "giocattolone" (ovviamente una semplificazione e una esagerazione) per connotare un film che certamente è nato con grandi ambizioni, ma che alla fine a me personalmente non ha raccontato nulla di particolarmente nuovo né di significativo. Senza dubbio le immagini di città occidentali trasformate in uno scenario di guerra sono piuttosto potenti e ben fatte, ma anche quelle non sono particolarmente nuove, e a mio avviso non bastano a salvare il film dal rischio della superficialità.
Voto: 3/5
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