Libia / storia di Francesca Mannocchi; sceneggiatura di Daniele Brolli; disegni di Gianluca Costantini. Milano: Mondadori, 2019.
Sulla scia delle cose lette e viste negli ultimi tempi, e anche in relazione a quanto accade nel Mediterraneo, ho ripescato nei miei scaffali questo graphic novel che avevo comprato tempo fa e non avevo ancora letto.
Libia è un racconto in presa diretta della storia recente di questo paese così centrale rispetto alla rotta mediterranea dei migranti, basato sull'attività giornalistica di Francesca Mannocchi e sulle testimonianze di persone che vivono in Libia.
Il racconto inizia rievocando il massacro di Abu Salim, di cui personalmente non sapevo nulla. In questo carcere, in cui durante la presidenza di Gheddafi venivano rinchiusi soprattutto persone con simpatie politiche non coerenti con il governo in carica o di fede religiosa diversa da quella ufficiale, nel 1996 furono giustiziati oltre 1.200 prigionieri dei circa 1.600 che in quel momento popolavano il carcere.
Solo all'inizio degli anni Duemila i familiari - che per anni si erano presentati alle porte del carcere per portare cibo e oggetti ai loro cari - sono stati informati della loro morte, senza che mai siano state chiariti modi e circostanze.
Il massacro di Abu Salim è stato uno degli eventi da cui ha preso avvio la protesta che nel 2011 portò alla guerra civile e al rovesciamento del regime di Gheddafi, ucciso quello stesso anno a Sirte.
E questa è solo la premessa del racconto, che si concentra infatti soprattutto su quello che è avvenuto dopo e che non è meno tragico. Il proseguire della guerra civile, la spaccatura a metà del paese con due diversi leader, diversamente sostenuti a livello internazionale, lo strapotere delle milizie armate, la corruzione dilagante, l'impoverimento economico in un paese che ha risorse naturali enormi, e come conseguenza un'economia che in buona parte ruota attorno alla tratta degli esseri umani, in cui più o meno tutti sono coinvolti e di cui quasi nessuno si sente colpevole.
Nel mezzo, moltitudini di disperati che qui arrivano scappando da guerre e carestie, o semplicemente inseguendo i loro sogni, gente che rimane intrappolata in questo paese, subendo violenze e angherie di ogni tipo, e che nella migliore delle ipotesi può sperare di essere caricata su un barchino o un gommone e spedita verso Lampedusa, se mai ci arriverà.
Sullo sfondo un mondo occidentale che fa finta di non sapere e di non vedere, che fa politiche interne e internazionali che sono più fumo negli occhi per il loro elettorato che strategie effettive finalizzate ad affrontare la situazione.
E la conclusione inevitabile è che ai paesi occidentali non interessa nulla se i migranti che arrivano da ogni parte del mondo vengono sfruttati o muoiono in Libia o in Tunisia, purché non arrivino nei nostri paesi a turbare i nostri equilibri. Così come non importa nulla della situazione politica ed economica dei paesi del Nord Africa da cui i migranti tentano il salto verso l'Europa, anzi ci fanno accordi con lo scopo di ottenere il risultato di cui sopra, restando totalmente indifferenti alle condizioni interne di questi paesi.
Per chi ha visto Io capitano (da poco candidato come miglior film straniero per gli Oscar) qualcosa risuonerà, ma qui non trapela alcuna speranza, solo pessimismo e disperazione. Non una lettura semplice.
Voto: 3,5/5
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