Ed eccomi qua a parlare di quelle cose di cui non sono in grado di dire niente.
So pochissimo di musica classica, e di opera ancor meno, però - curiosa come sono - negli anni mi sono buttata anche in esperienze per me in qualche modo nuove.
Non è dunque la prima volta che vado al Teatro dell'Opera di Roma, anche se l'ultima volta risale ormai a più di sette anni fa quando ero andata a vedere la Cenerentola di Rossini per la regia di Emma Dante (e quello stesso anno avevo visto a Caracalla il Barbiere di Siviglia di Rossini).
Già allora - e nello stesso modo è andata anche questa volta - la scelta era nata non tanto come scelta dell'opera in sé, quanto per la curiosità dell'allestimento da parte di una regista che seguo e apprezzo, soprattutto a teatro.
Questa volta la mia curiosità è attivata dalla regia di Damiano Michieletto, di cui ho sentito tanto parlare dalle mie amiche G. e C., ma di cui non ho mai visto niente. In più, Il flauto magico è un'opera con cui ho almeno una minima familiarità, visto che diversi anni fa ne avevo visto la versione realizzata a teatro dall'Orchestra di piazza Vittorio. A grandi linee quindi conosco la storia, e mi dicono qualcosa i nomi di Tamino, Pamina, la regina della notte, Sarastro e Papageno, ma si tratta di reminiscenze piuttosto vaghe.
La mia amica G. con cui vado a teatro mi dà qualche elemento interpretativo, e poi quando si spengono le luci mi lascio andare allo spettacolo. Michieletto sceglie di ambientare la vicenda in una scuola, identificando questa come il regno della laicità e della conoscenza, e contrapponendola al mondo della regina della notte, dove domina la fede e l'istinto. Tutta l'opera viene quindi interpretata nell'ottica di una lotta tra questi due poli, e Tamino e Pamina sono due giovanissimi ancora un po' ingenui che attraverso l'avventura che vivono diventano adulti e comprendono l'importanza della conoscenza.
Da quando la mia amica G. mi dice che quest'opera è da sempre un rompicapo per chi deve comprenderne il significato profondo e certamente al suo interno ci sono molti temi che fanno capo alla massoneria, vedo tutto in quest'ottica, ma mi sforzo ovviamente di contestualizzare e di on lasciarmi condizionare.
Sicuramente, le invenzioni registiche mi aiutano ad apprezzare quest'opera, sia in termini di scenografia che in termini di luci e movimenti sulla scena, oltre che di costumi e molte altre cose. Penso in particolare alla grande lavagna che proietta e con cui in parte interagiscono i protagonisti, e che sollevandosi dà accesso a un nuovo ambiente che è quello dove abita la regina della notte, al bosco con i grandi alberi che sembrano veri, ma anche alle azioni dei protagonisti e alle piccole grandi sorprese che riservano.
Non posso dire molto sugli interpreti: a me ignorante sembrano tutti bravissimi, ma su questo la mia opinione non conta.
Me ne torno a casa con in testa il refrain della regina della notte, e questo già mi sembra un gran risultato.
Voti non ne do, ché non mi sento proprio all'altezza in questo caso. Sento che alla prima Michieletto è stato fischiato e molte persone che conosco e che ne sanno di opera molto più di me mi dicono che non si tratta di una lettura molto riuscita, ma io mi astengo dai giudizi.
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