La gioia fa parecchio rumore / Sandro Bonvissuto. Torino: Einaudi, 2020.
Non credo che avrei mai comprato di mia iniziativa un libro che sulla copertina porta un disegno rappresentante Paulo Roberto Falcão che esulta dopo un gol. Ma la mia amica e collega L. me lo regala dicendomi che non l'avrebbe mai preso in considerazione neanche lei se non le fosse stato suggerito da una persona di cui si fida e che, dopo averlo letto in prima persona, mi può dire che non è un libro sul calcio - di cui neanche a lei frega nulla - ma sulla quintessenza della romanità, quella buona.
Sandro Bonvissuto, scrittore e cameriere, ci racconta questa romanità attraverso un punto di vista specifico, quello di un ragazzino che vive in una famiglia di romanisti e che a sua volta sviluppa un amore sconfinato per la squadra della Roma. Siamo nei primi anni Ottanta, e quel ragazzino che parla in prima persona del suo rapporto con la Roma potrebbe essere lo stesso scrittore, ma - come è tipico della scrittura - è anche qualcosa d'altro e di diverso.
Il mondo del protagonista ragazzino è quello in cui le donne preparano panini e contengono le esagerazioni maschili relativamente alla passione per il calcio, il padre e lo Zio sono i compari di tutte le avventure calcistiche, i vicini e gli amici romanisti sono la "nostra gente", Barabba è uno che vive alle propaggini della società civile, ma si rivela un filosofo e un uomo di cultura.
La narrazione si incentra su un momento topico della storia della AS Roma, quello dell'arrivo di Falcão fino all'impensabile sogno della vittoria dello scudetto.
Dentro c'è l'amore per una squadra, ma c'è anche l'amore per una città e per la sua filosofia di vita, fatta di ironia, autoironia, scaramanzia, malinconia, capacità di adattamento e fedeltà, che sono poi le medesime caratteristiche che vanno a formare l'amore per la squadra giallorossa. Il rapporto dei romani con la città e con la squadra della Roma è qualcosa di unico al mondo, perché in entrambi i casi - città e squadra - parliamo di realtà con cui non è sempre tutto rosa e fiori e c'è spesso e inevitabilmente da soffrire, salvo poi cancellare qualunque sofferenza con un singolo mirabile momento di straordinaria e "rumorosissima" gioia.
Per me che con questa città ho fatto pace solo molto tardi e che ho capito la romanità ancora più tardi, leggere questo libro e sentirlo in parte un po' mio è stata un'emozione importante e non scontata, io che non seguo il calcio, non sono di Roma e non mi sento romana, ma ho imparato a volere bene a questa città difficile, complicata, irrisolta e irrisolvibile, prendendo quanto di meglio essa da offrire e cercando di reagire con lo stesso spirito della romanità migliore (di cui in Bonvissuto si trova un interessante saggio) ai momenti in cui il suo peggio ti si scarica addosso.
Forse non c'è modo di sopravvivere a questa città se non abbracciando l'essenza della romanità, che è il superpotere che la natura ha dato ai romani per non soccombere al luogo nel quale il destino li ha fatti nascere, e che noi "naturalizzati" siamo chiamati ad apprendere se abbiamo scelto questa città come luogo nel quale vivere.
Voto: 3,5/5
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