Non ho ancora letto il libro di Romain Gary, che a suo tempo ha vinto in Francia il premio Goncourt, il più importante a livello nazionale. Tra l’altro la storia è molto interessante, perché – avendo Gary già vinto il premio precedentemente con Le radici del cielo - il romanzo uscì nel 1975 sotto il nome dello scrittore Emile Ajar, pseudonimo dello stesso Gary, consentendogli così di concorrere nuovamente, visto che il regolamento del premio prevede che lo stesso scrittore non lo possa vincere due volte. La verità si è scoperta solo dopo la morte di Gary, quando La vita davanti a sé era già diventato un vero e proprio classico, tradotto in tutte le lingue del mondo.
La storia è quella di un ragazzino di dieci anni, Mohamed, detto Momò, che – in quanto figlio di una prostituta – vive, insieme ad altri bambini con la medesima storia, nella casa di Madame Rosa, la quale dopo aver abbandonato la professione si è inventata in questo nuovo ruolo.
Quella di Momo è una storia di coming of age, ma declinata all’interno di un contesto molto particolare, nel quale il bambino è un emarginato alla ricerca costante dell’attenzione e dell’affetto altrui. Si tratta dunque di una storia di acquisizione progressiva di consapevolezza di sé, ma anche di una specie di storia d’amore sui generis.
Silvio Orlando decide di portare questa storia a teatro, accompagnato sul palco solo dal commento musicale dell’Ensemble dell’Orchestra Terra Madre (Simone Campa a chitarra battente e percussioni, Gianni Denitto a clarinetto e sax, Maurizio Pala fisarmonica, Cheikh Fall e Kaw Sissoko kora e djembe), che crea delle piccole pause nel flusso dei ricordi e delle parole.
Orlando si cala nei panni di questo bambino, e ne racconta la storia in prima persona, introducendo quando necessario anche le voci degli altri personaggi.
La scenografia rappresenta in forma semplificata la grande casa a Belleville, al cui quarto piano si trova l’appartamento di Madame Rosa, ma che ospita molte altre persone che vivono ai margini della città. Sul palco una poltrona e pochi altri elementi a rappresentare sia gli interni che gli esterni nei quali la storia si svolge.
Non posso dire che lo spettacolo non sia ben fatto e che Orlando non abbia fatto un buon lavoro di adattamento di questo testo alla drammaturgia teatrale, e – come sempre – anche le sue capacità interpretative non si discutono.
Devo però ammettere che lo spettacolo non mi ha conquistato. Personalmente di fronte a uno spettacolo di questo tipo non riesco a non pensare che sarebbe stato meglio leggere il romanzo e che tutto sommato la messa in scena non aggiunge niente, anzi forse toglie qualcosa alla scrittura. È chiaro che si tratta di mezzi di espressione differenti, e ognuno ha la sua specificità, e credo sia semplicistico e sicuramente non corrispondente alla realtà dire che a teatro funzionano sempre meglio i testi scritti per il teatro.
Però – che dire? – forse sono io che ho un cuore di pietra in questo momento, ma non sono riuscita a commuovermi, né a empatizzare fino in fondo, e l’interpretazione di Orlando mi ha comunque creato una distanza con il personaggio. Persino i tentativi di mescolare ironia e dramma – sicuramente caratteristica presente anche nel romanzo – per me non hanno perfettamente funzionato nello spettacolo.
Ma sicuramente si tratta di un giudizio soggettivo e parziale, visto che in giro leggo tutte recensioni piuttosto entusiastiche.
Come sempre il consiglio è di andare a vederlo, e farsi personalmente e direttamente una propria opinione.
Voto: 3/5
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