Ferdinando è lo spettacolo con cui ho conosciuto il teatro di Annibale Ruccello quando ancora ero convinta che si trattasse di un autore ottocentesco. Da lì in poi è stata tutta una scoperta dell'opera di Ruccello e della straordinaria vitalità del teatro napoletano degli anni Settanta e Ottanta. Poco dopo aver visto Ferdinando, e proprio grazie a Ruccello ho scoperto anche Arturo Cirillo in Notturno di donna con ospiti, e anche in questo caso è stato amore a prima vista. Di lì in poi credo di non essermi persa quasi niente sia del teatro di Ruccello che delle cose portate un scena da Cirillo.
Con Ferdinando diretto da Cirillo possiamo dire che il cerchio si chiude con soddisfazione.
Ovviamente a questo giro arrivo molto più preparata e di conseguenza l'effetto del testo di Ruccello è meno dirompente.
La borbonica Clotilde (Sabrina Scuccimarra), assistita nel suo letto di finta malata dalla cugina povera Gesualda (Anna Rita Vitolo), che le fa da cameriera, e dal prete locale don Catello (lo stesso Cirillo), trascorre le sue giornate rimpiangendo l'epoca che fu e gettando veleno sullo stato e sulla lingua italiana. La sua è una personalità strabordante in cui si alternano invettive al vetriolo e un sarcasmo irresistibile. Intanto donna Gesualda, zitella forse perché senza dote, ha una tresca con don Catello che in realtà non disdegna nemmeno e forse preferisce le frequentazioni maschili. A scombinare completamente questo già instabile equilibrio arriva Ferdinando (Riccardo Ciccarelli), il giovane figlio di parenti alla lontana, rimasto senza genitori e mandato a vivere con la zia Clotilde. Ferdinando con la sua almeno apparente fragilità e i suoi modi gentili e seduttivi diventa il centro di attrazione per tutti, attivando gli appetiti sessuali di Clotilde, di don Catello e alfine anche di Gesualda, appetiti ai quali non si sottrae.
Le gelosie incrociate e le bugie creano un clima sempre più teso che condurrà all'epilogo finale nel quale la realtà si mostrerà per quella che realmente è.
Come dicevo nel precedente post su questo spettacolo, quella di Ruccello è un'amara e brillante riflessione sul rapporto tra passato e presente e una constatazione del fatto che l'avidità e la meschinità umana attraversano le epoche anche quando il contesto si trasforma completamente.
Ma al di là del "messaggio", la cosa di fronte alla quale non si può rimanere indifferenti è la vitalità e la potenza di questo testo in napoletano, antico e modernissimo, che non vede mai una battuta d'arresto e che a più riprese ci strappa risate fragorose. Non manca la vena malinconica che - dopo aver visto quasi tutti gli spettacoli di Ruccello - posso dire essere la sua cifra caratteristica, che qui aleggia nel sottofondo (i tre personaggi principali sono tutti a loro modo dolenti e condannati nelle loro solitudini e per questo Ferdinando spariglia le carte), mentre in altre opere è il cuore emotivo del racconto (vedi ad esempio Le cinque rose di Jennifer).
Personalmente sono innamorata del teatro di Ruccello, artista che va tenuto in vita con le sue opere, per diffonderlo e tramandarlo nella sua potenza narrativa.
Bello l'allestimento con la regia di Cirillo, qui misurato anche nell'interpretazione, bravissimi gli altri attori, e la Scuccimarra regge il confronto con la Gea Martire della precedente rappresentazione.
Voto: 4,5/5
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