Nel primo weekend di agosto, in una città che nelle periferie è già parecchio svuotata, ma che vede un centro ancora insolitamente affollato di turisti, io e S. decidiamo di approfittare di quello che la città offre in tema di mostre, scegliendo in particolare le esposizioni di carattere fotografico.
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L’Italia è un desiderio. Fotografie, paesaggi e visioni 1842-2022. Le collezioni Alinari e Mufoco. Scuderie del Quirinale
La prima mostra che andiamo a visitare è quella alle Scuderie del Quirinale, che - per quanto mi riguarda - è sempre garanzia di qualità di scelta e di allestimento. In questo caso la mostra indaga sull’evoluzione dello sguardo sul paesaggio italiano e del concetto stesso di paesaggio, dalle origini della fotografia ai giorni nostri. Il primo piano dello spazio espositivo è dedicato alle foto provenienti dalle collezioni Alinari e coprono il periodo che va dalla metà dell’Ottocento alla prima metà del Novecento, mentre il secondo piano, che attinge maggiormente alle collezioni Mufoco (Museo di Fotografia Contemporanea), si concentra sul Novecento fino ad arrivare ai giorni nostri.
La mostra segue un percorso cronologico, ma in ogni sala viene proposta almeno una fotografia “dissonante cronologicamente” rispetto alle altre lì presenti (ed evidenziata da una differente colorazione sulla parete), ma che – in virtù del soggetto, della composizione, del punto di vista, dei colori o della tecnica – si pone in dialogo con le altre fotografie, suggerendo letture visive originali e nuove.
La visita della mostra è non solo una bella occasione per scoprire i molteplici modi in cui l’Italia e il suo paesaggio sono stati guardati e rappresentati nel corso del tempo da fotografi italiani e stranieri, ma offre anche la possibilità di fare la conoscenza con fotografi meno conosciuti, suscitando curiosità e desiderio di approfondimento, oltre a offrire una interessante esemplificazione di come la fotografia di paesaggio si sia trasformata nel tempo in una fotografia sempre meno descrittiva e sempre più concettuale, una fotografia che racconta il paesaggio come riflesso dell’anima del fotografo. La sala finale, con la proiezione dei progetti vincitori di una call finalizzata a raccontare l’Italia in lockdown, chiude adeguatamente questa bella carrellata.
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Mario Cresci. Un esorcismo del tempo. MAXXI
Proprio durante la visita alla mostra alle scuderie del Quirinale l’incontro con alcune fotografie di Mario Cresci – che aveva partecipato a suo tempo al progetto Viaggio in Italia di Luigi Ghirri – mi fa tornare in mente che il mio amico E. mi aveva suggerito caldamente di andare a vedere la sua mostra al MAXXI. E così faccio.
Conosco poco il fotografo, ma proprio per questo la visita alla mostra mi risulta ancora più interessante. In particolare, la mostra si concentra sull’attività svolta dal fotografo in Basilicata tra gli anni Sessanta e Ottanta del Novecento, attraverso l’esposizione di oltre 350 fotografie, nonché di un certo numero di oggetti materiali. L’approccio di Cresci oscilla tra l’indagine urbanistica e quella sociologica, manifestando l’interesse antropologico del fotografo, che utilizza la sua macchina come strumento conoscitivo, prima ancora che estetico. C’è dunque sia una parte di fotografia documentaria, sia una parte di racconto di persone, ma soprattutto c’è molta sperimentazione che trasforma più volte la sua in una fotografia concettuale.
Si tratta di un tipo di fotografia non necessariamente potabile o facile per tutti, ma che sicuramente stimola pensieri, interpretazioni, letture, rivelando la complessità del rapporto di Cresci con il mezzo da lui scelto per raccontare la realtà.
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Philippe Halsman. Lampo di genio; Peggy Kleiber. Tutti i giorni della vita (fotografie 1959-1992). Museo di Roma in Trastevere
Per completare il weekend di mostre fotografiche, approfittando della domenica con accesso gratuito ai musei civici, andiamo al Museo di Roma in Trastevere dove sono in corso due mostre fotografiche. Al piano terra c’è la mostra dedicata a Philippe Halsman, un fotografo ritrattista di origine ebrea, nato in Lettonia, e traferitosi prima a Parigi (negli anni Trenta) e poi negli Stati Uniti. Halsman ha lavorato molto per la pubblicità e, una volta consolidatasi la sua fama, è diventato il ritrattista di moltissime celebrità, ritratti spesso utilizzati per le copertine della famosa rivista Life. La mostra occupa l’intero piano terra del museo e offre una carrellata significativa dello stile di Halsman, spesso enigmatico e originale, e soprattutto attento a tradurre le caratteristiche più proprie dei personaggi ritratti in specifiche scelte ritrattistiche. Molto divertente la serie Jumpology, in cui moltissime celebrità hanno posato per lui in ritratti a figura intera in cui la caratteristica comune è che tutti sono immortalati mentre saltano, in maniere buffe o artistiche a seconda dei casi.
Al secondo piano del museo c’è invece un’ampia selezione delle fotografie di Peggy Kleiber, fotografa non professionista svizzera, che durante la sua vita ha documentato momenti piccoli e grandi della sua famiglia, nonché i luoghi in cui ha viaggiato. Uno dei corridoi è dunque dedicato alle sue fotografie di paesaggio urbano e di persone, in particolare quelle realizzate a Roma, città da lei molto amata e di cui documenta le trasformazioni negli anni Sessanta, e in altre realtà italiane, in particolare la Sicilia, da lei visitata più volte. L’altro corridoio è invece dedicato alle foto di famiglia, che oltre a documentare in maniera più tradizionale alcuni momenti tipici delle vicende famigliari riescono a cogliere espressioni, situazioni, circostanze particolari, facendo emergere l’anima nascosta della sua dimensione familiare.
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