Apparentemente il film di Diego Lerman, Il supplente, si inserisce nel già ricco filone di film di ambientazione scolastica, film che normalmente hanno una trama con parecchi punti di contatto e un'evoluzione piuttosto prevedibile. Tendenzialmente si tratta di film ambientati in scuole di periferia, ovvero in contesti difficili; di solito il professore protagonista è nuovo della scuola e il suo primo impatto con gli studenti è molto difficile; normalmente poi accade qualcosa per cui c'è una svolta nel rapporto professore-studenti che permette una chiusura con un finale edificante.
Ebbene, Il supplente sta sostanzialmente dentro questi elementi narrativi. Ma se fosse solo questo dovremmo derubricarlo come l'ennesimo film del genere e limitarci a un tiepido apprezzamento.
In realtà il film di Lerman ha diversi elementi interessanti e originali, che ne fanno un prodotto di valore.
Innanzitutto l'ambientazione: siamo nella cinta periferica di Buenos Aires, in un quartiere in cui si mescolano persone e famiglie in condizioni socio-economiche molto diverse, da una media borghesia in buone condizioni e con un livello culturale medio-alto fino ad arrivare a famiglie dignitose ma che vivono in case di lamiera e a famiglie devastate, coinvolte nelle guerre tra bande e nello spaccio e consumo di droga. Nella classe dove va a insegnare Lucio (Juan Minujín) la parte più debole della popolazione del quartiere è ampiamente rappresentata.
Il secondo e per me più importante elemento di interesse è la figura di Lucio, che mi sembra il vero cardine del racconto e l'oggetto di analisi del regista. Personalmente ho interpretato il film come un vero e proprio romanzo di formazione, in cui per una volta il coming of age non riguarda un adolescente ma un presunto adulto, Lucio appunto. Quando all'inizio facciamo la conoscenza di Lucio capiamo che si tratta di una persona chiusa nel suo mondo e piuttosto autoreferenziale: è separato dalla moglie ed è l'ultimo a capire che lei sta con una donna, non va d'accordo con il padre malato di cancro, non ascolta la figlia dodicenne che continua a rappresentargli esigenze diverse, si capisce che ha frustrazioni lavorative e ambizioni deluse in ambito letterario, si attacca alla letteratura e alla poesia per non fare i conti con la realtà. Non a caso la prima parte del racconto sembra far fatica a carburare, esattamente come Lucio che probabilmente vorrebbe nascondersi da qualche parte con un libro e non dover affrontare niente di quello che lo aspetta. L'incontro con i ragazzi della sua classe - difficili, ma cresciuti in fretta - innescherà in Lucio un processo di consapevolezza che lo porterà infine a prendere in mano la sua vita e a metterne in ordine un po' di pezzi.
Ovviamente si rischia un po' di semplificazione - come appare evidente nella parte finale del film - ma il racconto tiene viva l'attenzione e cattura lo spettatore con intelligenza.
Infine, un apprezzamento vorrei farlo anche sul piano stilistico. Mi pare che Lerman faccia corrispondere all'evoluzione del personaggio anche delle scelte tecniche: nella prima parte del film il fatto che il personaggio di Lucio sia chiuso in una specie di bolla emerge anche dal fatto che si trova spesso dietro un vetro, si intravede attraverso quinte di vario genere, e addirittura il sonoro che gli arriva risulta ovattato (ad esempio nella scena in cui va da suo padre ed esce dalla macchina, ma i suoni sono sempre interni). Man mano Lucio esce allo scoperto e anche cinematograficamente la sua figura e la sua voce si impongono sullo schermo senza filtri.
Voto: 3,5/5
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