All'uscita dalla sala, dietro di me una donna dice qualcosa - presumibilmente in finlandese - e poi aggiunge in italiano rivolgendosi a degli amici: "Così non va bene, perché poi pensano [immagino chi visita la Finlandia] che Helsinki sia così!"
Lì per lì sono rimasta molto colpita da questo commento e mi ha fatto pensare a quando noi italiani ci vediamo rappresentati come "sole, pizza e mandolino" e ci incavoliamo. Poi però ho pensato che non è esattamente la stessa cosa: Kaurismäki è un regista finlandese e da diversi decenni il suo cinema si ispira a una precisa poetica sia dal punto di vista estetico che dei contenuti. I film di Kaurismäki - dai primi degli anni Ottanta fino a quelli più recenti - sembrano sempre ambientati negli anni Cinquanta o comunque in un mondo sospeso nel tempo, in cui si mescolano riferimenti temporali del passato e del tempo recente.
Nel caso specifico di Fallen leaves Kaurismäki torna a un tema a lui molto caro e già trattato in passato: l'avvicinamento tra due solitudini, il nascere di un sentimento tra due perdenti (a loro modo adorabili!) che la società ha in qualche modo marginalizzato: si tratta di Ansa (Alma Pöysti), commessa di un supermercato, che viene licenziata per avere rubato un panino scaduto e che vive da sola in un monolocale, e Holappa (Jussi Vatanen), un operaio che lavora in uno dei tanti cantieri della città e ha il vizio dell'alcol.
Intorno a loro personaggi più o meno grotteschi e surreali, che si fanno amare o odiare a seconda dei casi, e un mondo in parte decisamente retro (vedi i locali che i protagonisti frequentano, la musica che ascoltano e cantano, le radio e i telefoni che usano, i manifesti dei film appesi fuori dal cinema dove Ansa e Holappa vanno a vedere The dead don't die di Jim Jarmusch), in parte in rapida trasformazione (vedi le visioni dall'alto dei cantieri dove lavora Holappa che mostrano una città fortemente in crescita).
E forse è proprio di questa contrapposizione che vive la poetica di Kaurismäki, ossia quella tra un mondo che va freneticamente avanti e una parte di umanità che resta indietro, portando con sé contraddizioni di vario genere. Il progresso del mondo circostante è fatto non a caso di sfruttamento, disuguaglianze, egoismo, guerre e violenze (dalle radio - anch'esse retro - escono continuamente notizie degli attacchi ai civili nella guerra tra Russia e Ucraina), mentre l'umanità che i suoi film mettono al centro è certamente problematica, ma capace ancora di una generosità e di una sensibilità che creano nello spettatore uno sguardo benevolo ed empatico.
Come al solito, nei film di Kaurismäki si ride, si sorride, ci si immalinconisce, ci si intenerisce e un po' ci si indigna anche.
E secondo me la spettatrice finlandese può stare tranquilla: non pensiamo che quella rappresentata da Kaurismäki sia la Finlandia o la Helsinki di oggi (che io personalmente anzi immagino molto all'avanguardia e tecnologica), però è bello perdersi per un paio d'ore nel suo mondo buffo, surreale ma anche fatto di realtà, anche se non strettamente realistico.
Voto: 3,5/5
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