Dopo averne sentito parlare praticamente da chiunque e averne letto sostanzialmente ovunque (con un meccanismo che ormai conosciamo piuttosto bene in quanto amplificato dai social), vado anche io a vedere il fenomeno cinematografico del momento, il film Barbie diretto da Greta Gerwig e scritto dalla stessa insieme a suo marito, Noah Baumbach.
Partirò da alcune premesse. La prima è che io, appassionata di cinema in sala, non posso che essere stupita e felice per il successo planetario di questo film che ha portato e riportato in sala tantissime persone, soprattutto giovani e giovanissimi, persino in un paese come l’Italia in cui i cinema d’estate tradizionalmente si svuotano e chiudono. E, se fosse anche solo questo, non potrei che esprimere un giudizio positivo nei confronti dell'operazione, pur sapendo che la conquista di questo pubblico potrebbe essere soltanto contingente e temporanea.
La seconda è che personalmente non posso esprimere un “giudizio” su questo film senza fare i conti con il passato cinematografico di Gerwig e Baumbach. I due, che sono una coppia nella vita e che spesso lavorano insieme anche nel cinema, sono tra gli autori e i registi più interessanti e raffinati della loro generazione (e non solo). Ho visto numerosi film di entrambi, e – pur avendo fatto tutti e due una scalata che li ha portati dal cinema indipendente e di nicchia al grande pubblico e al cinema mainstream – ritengo che la loro filmografia sia decisamente lodevole e intellettualmente significativa, anche quando il singolo film incontra meno i miei gusti. Per questo motivo non mi posso arrendere totalmente a chi liquida Barbie come un filmetto divertente o poco più.
Tutto ciò premesso, non penso affatto che ci troviamo di fronte a un capolavoro e probabilmente se non ne stesse parlando tutto il mondo scriverei serenamente una delle mie tantissime recensioni, riconoscendo pregi e difetti del film, ma senza troppe pi**e mentali.
Non sono una grande conoscitrice dell’universo di Barbie: ho avuto da bambina un paio di Barbie e un Ken, ma accessori e varianti della bambola li ho conosciuti solo indirettamente, attraverso la mia amica di infanzia che invece era una appassionata e una collezionista. Partendo da questa mia parziale conoscenza mi sembra che la costruzione di Barbieland sia davvero notevole, sia sul piano materiale (case, macchine, oggetti, paesaggi ecc.) sia sul piano concettuale (un mondo nel quale – come recita la locandina – "Barbie può essere tutto, mentre Ken è solo Ken").
Nel momento in cui Barbie (e l’infiltrato Ken) compie il suo viaggio nel mondo reale per comprendere chi le sta suscitando pensieri di morte (totalmente estranei al mondo di Barbie), la natura del film e il suo intento diventano via via più palesi, e spesso il messaggio “femminista” è oggetto di tirate didascaliche e invero un po’ stucchevoli. È forse anche per questo che il personaggio di Ken (magnificamente interpretato da Ryan Gosling) finisce per diventare più interessante e ben presto ruba la scena a Barbie (la bravissima Margot Robbie).
Gerwig e Baumbach si sono dunque improvvisamente votati alla semplificazione e hanno perso la loro raffinatezza e profondità? Oppure la presenza di Mattel come produttore del film ha finito per annacquare o sporcare in qualche modo le intenzioni degli autori?
Io sinceramente non credo in nessuna delle due intepretazioni e voglio pensare che i due abbiano scelto volutamente un registro e una modalità comunicativa che potessero raggiungere realmente tutti, sapendo fin dal principio di stare realizzando il film più mainstream della loro carriera e di rivolgersi a un pubblico molto più ampio di quello a loro più affezionato. Ed è dunque per questo che la critica al patriarcato è così smaccata e la metafora femminista così priva di sfumature e di complessità, perché deve arrivare come un treno in faccia a tutti, e non far riflettere chi su questi temi è già sensibile.
Non so ovviamente quanto questa strategia possa funzionare, non tanto in termini di pubblico quanto in termini di diffusione reale del messaggio, ma mi sembra già interessante l’effetto che il film ha in molti casi sugli esseri umani di sesso maschile che lo vanno a vedere. Mentre alle donne il film può piacere o no, ma a seconda del loro punto di vista possono empatizzare con la crisi esistenziale di Barbie o con la condizione dei Ken, gli uomini ne escono scocciati e destabilizzati (parliamo sempre di un certo tipo di uomini), in quanto questo film non offre loro nessuna figura maschile alla quale aggrapparsi, non in Barbieland e nemmeno nel mondo reale. E questa è una condizione decisamente nuova e forse un po’ fastidiosa nella quale trovarsi.
In conclusione, mi pare che Barbie qualche merito – cinematografico e non solo – lo abbia, ma per me personalmente non resterà memorabile: non sono tra quelli che si sono piegati in due dalle risate (sebbene alcune cose mi abbiano fatto ridere e sorridere) e ne vedo pienamente il risvolto di marketing che rischia in parte di ridurre la portata dell’intento se non addirittura di determinare una specie di eterogenesi dei fini.
Menzione speciale per coreografie e colonna sonora.
Voto: 3/5
Guarda, a me non stupisce tanto il successo, quanto i trentenni che ci stanno trovando significati addirittura eccessivi per quello che il film è - e si presenta.
RispondiEliminaPoi, personalmente, trovo la Gerwig e il marito il nulla assoluto...
Sicuramente i trentenni sono i più infoiati ma loro sono per me una strana generazione. Riguardo a Gerwig e Baumbach non sono d'accordo ma rispetto la tua opinione
EliminaIo l'ho adorato e trovato molto più complesso di quanto appare. C'è dell'ironia anche nel didascalismo e, considerato che moltissimi non hanno capito nulla del film e sono stati triggerati proprio da questa voluta "superficialità" anche nel parlare di temi importanti, penso sia un prodotto assolutamente riuscito... more than Kenough!
RispondiEliminaMore than kenough!! Grazie per il tuo commento Babol!
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