Il caos da cui veniamo / Tiffany McDaniel; trad. di Lucia Olivieri. Roma: Edizioni di Atlantide, 2018.
Il caos da cui veniamo è la storia della famiglia Lazarus, in un arco di tempo che va dagli anni Cinquanta ai Settanta circa, raccontata dalla voce di Bitty, la penultima figlia, personaggio ispirato alla madre dell'autrice Tiffany McDaniel. I Lazarus sono il capofamiglia Landon, un nativo americano che per indole e cultura è un gran raccontatore di storie magiche, ma ha vissuto sulla propria pelle tutte le brutture del razzismo, la moglie Alka, una donna traumatizzata e indurita dagli abusi subiti fin da bambina nella famiglia di origine e che riversa la sua affettività devastata sui propri figli, e appunto i loro sei figli, Leland, Fraya, Flossie, Hawthorne, Bitty e Trustin, la cui vita è segnata fin da piccoli da un contesto di disagio sociale e psicologico. Dopo varie peregrinazioni nella provincia americana, i Lazarus finiscono a Breathed, Ohio, il luogo dove è poi ambientato L'estate che sciolse ogni cosa, con cui la McDaniel nelle ultime pagine di questo romanzo crea una vera e propria continuità introducendo il personaggio dell'avvocato Autopsy Bliss.
Il caos da cui veniamo è il racconto di una serie di vite spezzate, danneggiate, traumatizzate, devastate, in cui la catena dell'orrore e della tragedia appare implacabile e sembra non risparmiare nessuno. Nessuno è innocente, nessuno può dirsi estraneo all'orrore che lo circonda anche quando non ne è direttamente responsabile, e al contempo su nessuno cade una condanna totalmente priva di compassione, perché Tiffany McDaniel ci fa sentire i suoi personaggi sempre da una prospettiva interna costringendoci a fare i conti con i loro sentimenti e impedendoci di prendere completamente le distanze o di sentirci totalmente estranei. La cosa però più straordinaria è che questo cumulo di macerie umane che sono i Lazarus e che in fondo è l'intera cittadina di Breathed è attraversata da una poesia e da un lirismo capaci di trasformare le ceneri di questa devastazione in anelito di vita. E questo avviene attraverso il potere salvifico delle storie, quelle che racconta Landon e quelle che Bitty insegue da quando è bambina e che la porteranno lontano dalla sua famiglia e da Breathed.
È come se attraverso il suo romanzo Tiffany McDaniel abbracciasse e ci invitasse ad abbracciare il caos da cui tutti - in misure e forme diverse - veniamo, quel caos di cui siamo vittime e corresponsabili, perché il male che subiamo e l'amore che non riceviamo spesso diventano moneta con cui noi stessi ripaghiamo gli altri. In questo caos siamo però chiamati a riconoscere gli squarci di bellezza che a volte l'attraversano, a comprendere i modi di vivere il dolore, e a salvare gli sforzi di sopravvivenza. Le pagine finali in cui Bitty racconta la morte del padre, e che vengono dopo centinaia di pagine di crudezza a tratti intollerabile sono di una tenerezza disarmante e strabordanti di un affetto che riempie il cuore.
A me i libri di Tiffany McDaniel piacciono molto e in periodi di frustrazione da lettura mi riconciliano con le storie scritte; anche se sono esperienze emotivamente molto impegnative - o forse proprio per questo - mi ricordano quanto la letteratura ci aiuti a comprendere noi stessi e gli altri molto più in profondità di qualunque altro strumento espressivo.
Voto: 4/5
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