Durante i giorni di una Pasqua pugliese che meteorologicamente fa pensare più all’inverno che alla primavera nella quale ci troviamo, io e mia sorella decidiamo di andare a vedere la mostra in corso al Castello Aragonese di Conversano (e che durerà fino all’inizio di ottobre di quest’anno) dedicata ad Antonio Ligabue.
Sul pittore e scultore di origine bellunese, ma nato in Svizzera e vissuto dalla tarda adolescenza in poi nella bassa reggiana, avevo visto qualche anno fa il film di Giorgio Diritti, Volevo solo nascondermi, magistralmente interpretato da Elio Germano.
Di Antonio Ligabue (che aveva cambiato il cognome del patrigno Laccabue per l'odio che nutriva verso di lui) sapevo dunque già parecchie cose, ma proprio per questo mi ha fatto particolarmente piacere vedere dal vivo una sessantina delle sue opere, tra cui anche qualche scultura.
La mostra allestita a Conversano permette di approfondire parallelamente - anche grazie all'audioguida - il percorso personale e artistico di Ligabue durante tutta la sua evoluzione. Seguiamo così la sua carriera artistica dagli esordi al riconoscimento pubblico e contemporaneamente ne approfondiamo i momenti della vita, i difficili rapporti con la famiglia e in generale con il mondo circostante, il disagio psichico, i ricoveri negli ospedali psichiatrici, la nostalgia per la Svizzera, la passione per le moto Guzzi, le stranezze e la genialità.
Attraverso le opere esposte abbiamo la possibilità di conoscere i filoni tematici che gli furono più cari, in particolare gli animali (sia quelli di fattoria che quelli esotici, spesso ritratti in scene di lotta, le cui espressioni Ligabue spesso riproduceva col suo volto per trarne ispirazione), la vita rurale, i paesaggi (soprattutto quelli dell'amata Svizzera), gli autoritratti (soprattutto a mezzo busto, ma anche a figura intera).
Col passare del tempo la sua pittura si fece non solo tecnicamente sempre più matura, ma soprattutto più dinamica ed espressionista, e i colori sempre più accesi e pastosi.
Nelle sale della mostra anche qualche scultura, che riflette lo stesso approccio carnale e quasi viscerale proprio della sua pittura (l'artista masticava la materia - la creta del Po - con cui realizzava le sculture) e ne ripete soggetti e pose.
L'arte come spazio di espressione dei propri turbamenti e momento di allentamento delle tensioni della propria psiche disturbata è un leitmotiv che - come si sa - accomuna diversi artisti. Personalmente aver visto una dopo l'altra, a distanza di poco tempo, la mostra di Van Gogh a Roma e quella di Ligabue mi ha fatto percepire alcuni elementi che accomunano trasversalmente i due artisti, sia sul piano della vicenda personale - i problemi psichici e la condizione di solitudine - sia sul piano tecnico - l'amore per i colori e la pastosità degli stessi.
Certamente i soggetti rappresentati sono molto diversi, così come la varietà e la complessità dei temi e delle forme espressive. Soprattutto, Ligabue - pur in una vita non certo fortunata - ebbe però la "fortuna" di ottenere un riconoscimento della sua arte e non ebbe mai dubbi sul valore della sua opera, mentre invece Van Gogh morì senza praticamente aver mai venduto i suoi quadri e ottenuto un riscontro esterno della sua grandezza, il che è ovviamente paradossale se si pensa a quanto le sue opere sono oggi onnipresenti nelle forme più diverse, in un revival che non è eccessivo definire pop.
Voto: 4/5
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