Il film di Santiago Mitre si presenta fondamentalmente come un classico film processuale, in cui si alternano la narrazione di contesto e il racconto delle indagini e del processo in aula, solo che in questo caso il processo che viene ricostruito è uno dei più importanti della storia dell'Argentina, ossia quello che la giustizia ordinaria intentò contro Videla e i membri della Giunta militare responsabile del golpe e delle innumerevoli violenze e persecuzioni del periodo della dittatura (1976-1983).
Nel 1984, quando le istituzioni democratiche argentine erano ancora fragili, di fronte all'inattività della giustizia militare, fu affidato al pubblico ministero Julio Cesar Strassera (il sempre magnifico Ricardo Darín) il compito di costruire l'impianto accusatorio finalizzato a inchiodare Videla e gli altri alle loro responsabilità. In questo compito Strassera fu affiancato da un giovane avvocato, Luis Moreno-Ocampo (Peter Lanzani), e da un manipolo di giovanissimi e volenterosi aiutanti, che in un clima di ostilità, intimidazioni e omertà riuscirono, in tempi strettissimi, a portare avanti l'indagine e a convincere un numero importante di persone, testimoni di violenze e atrocità, o parenti di desaparecidos, a presentarsi in tribunale per raccontare la propria esperienza, contribuendo a modificare il sentimento dell'opinione pubblica.
La storia è eccezionalmente adatta a essere raccontata, come tutte quelle che vedono un "Davide" scontrarsi con un apparentemente imbattibile Golia, ed è inevitabile emozionarsi di fronte a una vicenda - tra l'altro storicamente avvenuta - che per una volta è in buona parte andata nella direzione che era auspicabile, nella consapevolezza che ciò non accade frequentemente e che proprio per questo non si fa fatica a immedesimarsi in Strassera con tutte le sue debolezze e i suoi dubbi.
Per questi stessi motivi Argentina, 1985 avrebbe potuto essere un polpettone edificante e melodrammatico, ma Mitre riesce in buona parte a sfuggire a questa trappola adottando un registro che dosa adeguatamente il tono drammatico con quello più leggero. In particolare, il regista si sofferma a più riprese sul lato umano di Strassera, soprattutto sul rapporto con moglie e figli, e utilizza il personaggio del figlio piccolo, nonché quelli di alcuni amici di vecchia data oltreché del gruppo dei giovani assistenti, come strumenti di alleggerimento della tensione, che invece si fa ben più alta durante le sedute del processo.
Interessante l'evoluzione del protagonista, il quale inizialmente sembra - molto umanamente - voler sfuggire a questo compito in parte per codardia in parte per mancanza di fiducia nelle istituzioni, ma a poco a poco - anche attraverso il confronto con il suo collaboratore più giovane - comprende l'importanza di non tirarsi indietro di fronte alla possibilità di ottenere un risultato storico per il futuro della democrazia argentina, e anche per dare una risposta alle vittime e a chi negli anni si era battuto per la verità.
Io con il mio ormai usuale cinismo sono uscita dal cinema pensando a quanto il sistema di potere nel quale viviamo sia inattaccabile, anche a causa delle troppe persone che fanno il gioco del più forte, e come - nonostante le tante persone che desidererebbero verità e giustizia - spesso a vincere sono l'arroganza e l'intimidazione.
Voto: 3,5/5
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