Quanto tutti ne hanno cominciato a parlare perché è uscita la serie (di cui però non ho letto un gran bene), mi sono finalmente decisa a leggere il libro autobiografico di Daniele Mencarelli, Tutto chiede salvezza.
Il libro contiene il racconto della settimana che Daniele, intorno ai suoi vent'anni, trascorse in un reparto psichiatrico in cui fu ricoverato dopo un TSO, ossia un trattamento sanitario obbligatorio, seguìto a uno scoppio d'ira violento.
Daniele ha una storia di dipendenza tossicologica e di instabilità emotiva, a cui lui stesso e nemmeno i numerosi dottori e psichiatri a cui si è rivolto hanno saputo dare un nome. Si tratta di una specie di ipersensibilità che gli fa avvertire amplificati la gioia e i dolori della vita quotidiana, anche attraverso forme accentuate di empatia con il mondo circostante, nonché una specie di metafisico ma anche molto concreto male di vivere, un malessere per l'assenza di senso dell'esistenza, un'ansia profonda per la caducità umana.
Ebbene, nel reparto psichiatrico, Daniele si trova fianco a fianco con persone che pure si portano dietro i loro drammi personali e le loro storie: Madonnina, che appena entrato gli dà fuoco ai capelli, Alessandro che guarda un punto lontano e non reagisce ad alcuno stimolo, Gianluca, omosessuale bipolare rifiutato dalla famiglia, Mario, un maestro elementare allontanato da moglie e figlia per i suoi comportamenti violenti, Giorgio, un ragazzone che si porta dietro un trauma infantile.
In questo universo composito e complesso, e non certo semplice, Daniele e gli altri ospiti del reparto devono interfacciarsi con gli infermieri e le infermiere e con i medici che si alternano nei turni. Le interazioni sono un mix di comprensione, conflitto, vicinanza, freddezza, scambio e silenzio, all'interno del quale Daniele trova affetto, supporto e senso. Il micromondo del reparto psichiatrico è una piccola scuola di vita che rispecchia le ingiustizie e le insensatezze del mondo, ma anche l'importanza delle relazioni umane.
Un libro, quello di Mencarelli, che si legge in un paio di giorni, che fa sorridere e commuovere, ma che non pretende di dire e/o insegnare grandi verità, ma solo la necessità del rispetto per le storie individuali e il superamento dei pregiudizi nei confronti degli altri, che sono quasi sempre il frutto della non conoscenza.
Mencarelli scrittore conferma una sensibilità individuale fatta di grande empatia, anche se da un lato il suo approccio escatologico in bilico tra lo spirituale e il religioso e dall'altro la semplicità del libro - che a volte rischia la semplificazione - mi hanno tenuto emotivamente un pochino distante e non mi hanno prodotto quell'emozione sottopelle che a molti altri ha fatto apprezzare questa lettura.
Voto: 3/5
Questo non l'ho letto, ma per il Gruppo di lettura di cui faccio parte ho invece letto La casa degli sguardi, pur non avendone nessuna voglia. Condivido la tua recensione sullo stile dello scrittore, che trovo sia adatto, o quanto meno più vicino, a un pubblico certamente più giovane di me: ho trovato il libro banale nella scrittura e anche nei, pur lodevolissimi, contenuti.
RispondiEliminaEcco, ho pensato la stessa cosa. Aiuto, siamo vecchie!!! ;-)
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