Avevo inseguito il documentario su Ennio Morricone realizzato Giuseppe Tornatore fin da quando era uscito nelle sale cinematografiche, ma per una ragione o per l'altra l'avevo sempre mancato. Poi finalmente si è presentata l'occasione, e che occasione! All'Isola del cinema il film è stato proiettato dopo un piccolo concerto dedicato alle musiche del maestro con la partecipazione del compositore Paolo Vivaldi, della violinista Stefania Cimino e della danzatrice Dea Pace.
Il concerto ha certamente contribuito a mettere il pubblico dell'arena nella disposizione d'animo migliore per poi godere del film di Tornatore. Il documentario racconta la storia di Morricone, da quando ragazzino - figlio di un trombista - fu spinto dal padre a imparare la tromba e a entrare in conservatorio, dove poi si diplomò in Composizione con il maestro Goffredo Petrassi, per poi passare alle prime esperienze lavorative che lo portarono a essere uno degli arrangiatori di musica più richiesti sul mercato, all'attività di compositore di musiche per il cinema che, da attività quasi secondaria, diventò poi la strada che lo ha consacrato a livello mondiale. Il racconto della vita e della carriera di Morricone passa attraverso le sue stesse parole, ma anche e soprattutto attraverso quelle di numerosi musicisti, registi, produttori di cinema, e personalità varie che per qualche motivo hanno incontrato la strada del Maestro.
Ne viene fuori un ritratto che - pur non potendo sottrarsi a una componente celebrativa quasi inevitabile nei biopic e del resto non del tutto fuori luogo per un musicista come Morricone acclamato in tutto il mondo - riesce a mettere in evidenza molte sfaccettature della persona e del musicista. In particolare, a più riprese viene sottolineato il dissidio interiore e anche il dispiacere di Ennio Morricone per il fatto di aver dovuto a lungo far fronte al giudizio negativo o comunque all'atteggiamento di sufficienza di maestri e colleghi dell'accademia rispetto alla sua musica e alla sua carriera, ritenuta una via minore rispetto alla Composizione pura. Entrando talvolta anche nel tecnico, il documentario sottolinea più volte quanto complesse fossero le composizioni di Morricone per il cinema e quanta sapienza, competenza e conoscenza musicale esse contenessero. Probabilmente l'accademia - come spesso accade - non era pronta alla via innovativa di Morricone che mescolava riferimenti musicali alti e popolari e che sapeva far dialogare la musica con le immagini. Un'altra delusione e a lungo un motivo di rammarico per Morricone furono le ripetute mancate vittorie dell'Oscar dove pure era stato candidato più volte con musiche memorabili e destinate a diventare dei classici assoluti.
Al termine della visione del film l'immagine di Morricone va ben oltre l'icona a cui la sua morte lo ha definitivamente consegnato, offrendoci spunti ed elementi conoscitivi sicuramente non a tutti noti. Morricone appare come un genio prolifico (capace di produrre idee e nuove composizioni quasi a getto continuo e talvolta con una facilità imbarazzante), ma anche come uno sperimentatore e un innovatore, costantemente animato dal desiderio di evitare le strade già battute e di inventare soluzioni sempre diverse. Sul piano personale, un uomo mite, ma straordinariamente determinato, in cui il confine tra vita e musica è difficile da segnare in maniera netta.
Un film di grande godimento che - nonostante l'orario tardo e le sedie scomode - ha entusiasmato anche il mio papà in visita in quei giorni a Roma.
Voto: 4/5
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