Con F. decidiamo di andiamo a vedere questo spettacolo fondamentalmente perché c’è Arianna Scommegna, attrice che abbiamo imparato a conoscere e ad apprezzare nel corso degli anni attraverso spettacoli molto diversi tra loro.
Entrambe arriviamo alla sera della messa in scena senza sapere quasi niente di questo testo dell’americana Johnna Adams, tradotto in italiano da Vincenzo Manna e Edward Fortes.
Il sipario si apre su una scenografia che – su un piano inclinato – rappresenta una classe con i suoi banchi e le sue sedie. Una professoressa, Heather Clark (Arianna Scommegna), se ne sta in questa classe in piedi, con fare inquieto, quando improvvisamente irrompe la madre di uno studente, Corryn Fell (Ambra Angiolini), che ha un colloquio con un’insegnante del figlio, Gidion.
Ben presto si scopre che l’insegnante con cui Corryn ha appuntamento è proprio la signora Clark, e che questo non è un colloquio come tutti gli altri, perché qualcosa di terribile è successo nei giorni precedenti.
Il dialogo tra le due procede tra imbarazzi, accuse reciproche, esplosioni di rabbia, dolore trattenuto e manifestato, senso di impotenza e momenti di tenerezza, in un crescendo emotivo che ha il sapore dell’ineluttabilità. La signora Clark difende il suo ruolo di insegnante e la responsabilità che porta nei confronti dei ragazzi considerati collettivamente, e dunque non è disposta a mettere in discussione il provvedimento di sospensione emanato verso Gidion; la madre Corryn ricerca negli eventi un sottotesto e un’interpretazione diversa da quella della scuola, nel tentativo di comprendere quanto è accaduto e soprattutto perché.
Il quanto lo comprenderemo a poco a poco anche noi, il perché rimarrà ambiguo perché non è facile entrare nella testa di questi ragazzini e perché le tracce che lasciano possono essere fraintese in un senso o nell’altro. E in questa ambiguità le due donne – tra l’altro lasciate sole a confrontarsi su una vicenda che ha il carattere dell’enormità – non possono fare altro che difendere sé stesse e il proprio operato, pur essendo entrambe e a loro volta consapevoli del fatto che in casi come questo scaricare le colpe su qualcun altro è solo una strada obbligata e necessaria per non impazzire di dolore.
Il testo di Johnna Adams è certamente situato culturalmente e geograficamente nel contesto americano, ma è indubbiamente vero che la vicenda che racconta rimane comprensibile e plausibile anche al di fuori di quel contesto.
Le due attrici sono molto brave nel tentativo di mantenere sempre credibile questo dialogo difficile ed estremo, e nel giocare con ambiguità e oscillazioni emotive, anche lì dove queste possano risultare disallineate rispetto a quanto ci si aspetterebbe.
Per quanto mi riguarda lo spettacolo non è riuscito mai davvero a conquistarmi emotivamente, e la mia visione è rimasta sempre piuttosto razionale e distaccata, togliendo forza al pathos che vorrebbe trasmettere. Ne ho comunque apprezzato sia la messa in scena sia la prova attoriale, e credo che non sia poco rispetto a quello che uno spettacolo teatrale può offrire.
Voto: 3,5/5
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