Era un po' che inseguivo questo film del regista islandese Hlynur Palmason - ne avevo sentito parlare e letto molto bene - e finalmente, grazie al mitico Cinema dei piccoli di Villa Borghese, non solo riesco a recuperarlo ma anche a vederlo in lingua originale, che è secondo un me un grande valore aggiunto.
Protagonista del film è Ingimundur (il bravissimo Ingvar Eggert Sigurðsson), un poliziotto in congedo che ha da poco perso la moglie in un incidente stradale. L'uomo affronta il suo lutto dedicandosi alla ristrutturazione di una casa che era in realtà una specie di costruzione agricola abbandonata e svolgendo il suo ruolo di nonno, in particolare prendendosi cura della nipote Salka (Ída Mekkín Hlynsdóttir).
La scoperta di alcuni indizi spinge Ingimundur sulle tracce dell'uomo con cui ritiene che sua moglie lo tradisse. All'interno di un paesaggio dominato dalla nebbia, in cui la terra non si distingue dal cielo (da qui il titolo), il protagonista - incapace di comunicare il proprio dolore e la difficoltà di superare la perdita - scivola in un comportamento paranoico alimentato dalla rabbia e dall'odio, finendo per mettere a rischio l'incolumità della sua amatissima nipotina e per allontanarsi da lei e dalla famiglia.
Solo questa caduta nell'abisso oscuro dei suoi demoni interiori gli permetterà - dopo aver toccato il fondo - di risalire in superficie e ritrovare il senso della propria vita passata e futura.
Quello di Palmason è sostanzialmente un noir costruito su un contenuto narrativo se vogliamo molto semplice e persino esile, ma è chiaro che l'intento vero del regista è quello di raccontare, attraverso questa storia, i sentimenti compressi di un uomo burbero, incapace di verbalizzare rabbia e dolore, pur essendo un nonno tenero e affettuoso.
Molta parte del fascino e del senso di questo racconto sta ovviamente nella sua ambientazione estrema e remota, questa Islanda fatta di una natura grandiosa e ostile e di un clima quasi ai limiti della compatibilità con la vita umana.
Si riconoscono una connessione e un parallelismo molto forti tra i tratti di questa terra e le caratteristiche di quest'uomo, che di essa è un'espressione pura e profonda.
Un film esteticamente molto bello (stupendo il montaggio iniziale con telecamera fissa sulla costruzione agricola che diventerà la casa di Ingimundur con il trascorrere delle stagioni e dei climi), ma anche emotivamente molto intenso.
Voto: 3,5/5
Ero a Torino quando questo film ha vinto al Torino Film Festival, un Festival quell'anno (2019) ricco tra l'altro di bei film. Ha vinto proprio come Miglior Film. Ne ho un flebile ricordo, oltre al rapporto tra nonno e nipote, ricordo questo sfondo, atmosfere di luce, un bianco accecante, la bambina che maneggia un coltellaccio, cosa insolita da noi. Ricordo la rabbia mal gestita di lui, l'aggressione che farà, la solitudine che lo divora insieme al suo senso di colpa e al suo senso di fallimento. Un finale toccante.
RispondiEliminaGrazie Lory! Effettivamente il rapporto tra nonno e nipote è molto bello!
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