Ryusuke Hamaguchi è il regista giapponese che da qualche tempo sta conquistando il pubblico occidentale, tanto da vincere l'Orso d'Argento, Gran premio della giuria a Berlino con questo film e il Premio per la miglior sceneggiatura a Cannes con Drive my car.
Leggo che la sua fama era anche precedente, ma per me la visione de Il gioco del destino e della fantasia (Wheel of fortune and fantasy, titolo che maggiormente richiama l'idea di quella che noi chiamiamo "la ruota della fortuna") è il primo incontro con il suo cinema.
Il film è organizzato su tre episodi indipendenti l'uno dall'altro: nel primo una ragazza si rende conto che la sua migliore amica si sta innamorando del suo ex fidanzato e non sa bene come comportarsi con entrambi, anche perché probabilmente è in parte ancora innamorata di lui; nel secondo uno studente che è stato bocciato dal suo professore di francese ha l'occasione di vendicarsi e lo fa tramite una sua amica mandata nello studio del professore appositamente per sedurlo; infine nel terzo due donne si incrociano su una scala mobile e si riconoscono reciprocamente come persone del proprio passato, salvo poi scoprire che le cose non stanno esattamente così.
Il film di Hamaguchi è un film fatto soprattutto di dialoghi, a volte anche lunghi e articolati, e che avvengono generalmente tra due persone. Anche quando i protagonisti del racconto sono tre (come nel primo o nel secondo episodio), i personaggi si trovano quasi sempre faccia a faccia due per volta e sono appunto questi scambi che sembrano interessare il regista. È chiaro dunque che la "poetica" di Hamaguchi passa principalmente attraverso la parola oppure l'assenza di parole.
Proprio per questo e tenuto conto della straordinaria difficoltà a rendere "tridimensionale" la lingua giapponese in un'altra lingua (frutto dell'irriducibilità della cultura e della società giapponese a quella occidentale), in diversi momenti la visione del film risulta un pochino straniante e il parlato dei personaggi un po' robotico o sopra le righe. Non so se una visione del film in lingua originale avrebbe aiutato (forse sì), ma probabilmente non avrebbe risolto completamente.
Questo per dire che per poter entrare nella lunghezza d'onda dei personaggi di Hamaguchi e risuonare con i loro sentimenti (che al fondo di tutto sono universalmente riconoscibili) è necessario per lo spettatore superare questa curiosa barriera linguistico-culturale, smettendo di interrogarsi razionalmente sulla verosimiglianza di alcuni passaggi e lasciandosi andare all'essenza dei sentimenti.
Solo in questo modo il film rivela la sua vera natura che oscilla tra il drammatico e l'ironico, mettendo in luce il lato imprevedibile dell'esistenza umana, sempre sottoposta agli scherzi del destino, e rispetto al quale ognuno di noi si barcamena e reagisce come può, a volte assecondando il caso e traendone anche beneficio, altre volte provando a contrastare gli eventi.
Nel complesso un film interessante, sebbene - dal mio punto di vista - con rilevanti differenze tra gli episodi. Io li ho vissuti in crescendo: spiazzata dal primo, ho cominciato a prendere le misure con il secondo, infine mi sono abbandonata alla dolcezza del terzo.
Voto: 3/5
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