Quel che resta del giorno / Kazuo Ishiguro; trad. di Maria Antonietta Saracino. Torino: Einaudi, 2016.
Dopo l'entusiasmante lettura di Non lasciarmi, ho pensato di riprovare l'esperienza con un altro romanzo iconico di Kazuo Ishiguro, anche questo diventato la base per la sceneggiatura di un famoso film con protagonista Anthony Hopkins e Emma Thompson.
Quel che resta del giorno ha in comune con Non lasciarmi un'atmosfera rassegnata e malinconica, che comincio a pensare sia la cifra caratterizzante dello scrittore nippo-britannico.
Anche in questo caso la storia è raccontata in prima persona, quasi sotto forma di diario, e la voce narrante è quella di Stevens, maggiordomo nella residenza di Darlington Hall da molti decenni, prima al servizio di Lord Darlington e in tempi più recenti dell'americano Mr Farraday. È proprio su iniziativa di quest'ultimo che, verso la fine dell'estate del 1956, Stevens fa un viaggio in macchina nella campagna inglese, diretto verso il paese dove abita da diversi anni Miss Kenton, la governante che aveva a lungo prestato servizio presso la residenza e con cui Stevens ha mantenuto una corrispondenza.
Il viaggio in macchina non è solo l'occasione per riposarsi e incontrare gente nuova, bensì anche per ripensare al passato e contestualizzare il proprio lavoro e la propria abnegazione all'interno degli eventi svoltisi a Darlington Hall alla luce di quanto accaduto dopo.
Stevens è un maggiordomo infaticabile e con un livello altissimo di abnegazione e di fedeltà nei confronti del proprio datore di lavoro, alla cui vita aderisce con tutto sé stesso, a spese della propria vita privata e dei propri sentimenti.
A posteriori, dopo il passaggio di proprietà della residenza al gentiluomo americano e complice la distanza dalla quotidianità, Stevens si troverà a dover riconsiderare molte delle sue convinzioni e delle sue interpretazioni sia rispetto ai successi di Lord Darlington sia rispetto al rapporto con Miss Kenton.
Sarà dunque inevitabile la sensazione di aver perseguito una perfezione lavorativa che non solo non è stata esercitata a vantaggio - seppure indiretto - di azioni politiche meritevoli, ma che lo ha anche allontanato dalla possibilità di vivere con intensità e serenità sentimenti quali il dolore per la malattia e la morte del padre ovvero l'amore verso Miss Kenton.
Così, a poco a poco dai comportamenti e dalle parole di Stevens, pur senza mai rinunciare al basso profilo che ha sempre scelto come linea comportamentale, comincia a emergere il rammarico per le occasioni perse e per una vita "sprecata" all'inseguimento di una dignità che ha comportato il sacrificio della propria individualità e umanità.
Il libro di Kazuo Ishiguro è un libro compassato fino ai limiti dell'ingessato, esattamente come il suo protagonista e narratore, e proprio per questo ci trasporta in un mondo e in una società molto diversi da quelli a cui siamo abituati, un mondo nel quale gli ideali andavano perseguiti a spese della propria felicità e in cui solo il lavoro conferiva senso alla quotidianità.
Potrebbe sembrare una riflessione che non ci appartiene; eppure, la consapevolezza che viviamo in una società tutta orientata al soddisfacimento dei bisogni e al piacere effimero, ma nella quale il confine tra vita personale e lavoro è stato quasi azzerato, mi fa pensare che l'essere umano continui a essere incapace di stili di vita equilibrati e di scelte di effettivo e profondo benessere.
C'è tanto su cui riflettere, ognuno rispetto al proprio percorso di vita.
Voto: 3/5
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