Play with fire / Nicoz Balboa. Quartu Sant’Elena: Oblomov, 2020.
Dopo la bellissima sorpresa che era stata per me la lettura del primo albo di Nicoz Balboa, mi sono fiondata a comprare questo secondo lavoro, che conferma lo stile e le impressioni del primo, anzi direi che le rafforza.
Anche in questo caso più che di un romanzo grafico in senso stretto si tratta di un'autobiografia in forma di diario che si sviluppa su un periodo di diversi anni, all'interno del quale si aprono molti flashback riferiti a un passato più o meno lontano.
Lo stile di Nicoz è quello che abbiamo imparato a conoscere. Non c'è uno specchio della pagina ben definito né riquadri a delimitare le vignette. Disegni e testo fluttuano all'interno della pagina e in alcuni casi occupano ogni spazio possibile, un po’ come I tatuaggi che coprono il corpo di Nicoz. Il tratto è insieme cartoonistico e realistico e il testo scritto a mano, con tanto di cancellature e cambio di colore di penna (da nera a rossa), cosicché il tutto crea una sensazione di confidenza e di familiarità con la protagonista e la storia narrata.
Quello che sorprende – e che già mi aveva sorpresa nel primo albo – è la sincerità e la schiettezza con cui Nicoz mette a nudo sé stessa, le sue fragilità e i suoi dubbi, rafforzando l’impronta diaristica del racconto.
Al centro della narrazione c’è il complicato rapporto della protagonista non tanto con il proprio orientamento sessuale, quanto con la propria percezione di genere. Nicoz - che è stata sposata con un uomo e da questi ha avuto una figlia (storia in parte raccontata nel primo albo) - ci racconta di come ha scoperto l’amore per le donne, del suo coming out, dei lesbodrammi che l’hanno vista protagonista, ma soprattutto della difficoltà crescente a riconoscersi nel proprio corpo femminile senza riconoscersi necessariamente e del tutto in uno maschile, della curiosità verso i processi di transizione di genere, degli interrogativi sulla propria identità, della necessità di accettare la propria non univocità e le tante identità che ci abitano, che poi è parte centrale dell’accettazione di sé stessi e anche dei propri limiti.
Nicoz Balboa parla di temi delicatissimi e profondamente controversi senza infingimenti e con una naturalezza quasi disarmanti, cosicché il sentimento che suscita nel lettore non è scandalo né imbarazzo, bensì tenerezza verso un altro essere umano sinceramente alla ricerca di sé stesso e della propria felicità.
Non sono le anime inquiete che dovrebbero spaventarci, ma quelle monolitiche dietro le quali di solito si celano lacerazioni profonde e mai risolte.
Nicoz Balboa non si vergogna della sua ricerca continua, del suo essere multiforme e della sua insoddisfazione nei confronti della categorizzazione (basterà cercare su Google immagini che la ritraggono per coglierne la continua trasformazione), e in questo modo sottrae non solo sé stessa ma anche tutti coloro che vivono il medesimo senso di inquietudine a qualunque giudizio.
P.S. Leggo che Nicoz si identifica ormai come uomo transgender e chiede che si utilizzino per lui pronomi maschili oppure il pronome "loro", quindi il mio post da questo punto di vista è sbagliato. Non l'ho cambiato perché probabilmente quando Nicoz ha realizzato questo romanzo la transizione non era ancora a questo livello di consapevolezza, cosicché ho deciso di lasciare la recensione come l'avevo scritta.
Voto: 3,5/5
Nessun commento:
Posta un commento
Lascia qui un tuo commento... Se non hai un account Google o non sei iscritto al blog, lascialo come Anonimo (e se vuoi metti il tuo nome)!