Le variazioni Bradshaw / Rachel Cusk; trad. di Silvia Pareschi. Milano: Mondadori, 2009.
Era un po’ che sentivo parlare dei libri di Rachel Cusk, in particolare dopo l’uscita dei libri che compongono la sua trilogia, Resoconto, Transiti e Onori, che l’hanno consacrata come una delle scrittrici più significative della contemporaneità e più originali sul piano dello stile di scrittura.
Incuriosita, ho cominciato a spulciare la sua bibliografia alla ricerca di un titolo che mi attirasse e da cui potessi cominciare a scoprire la sua opera. La mia scelta è caduta su Le variazioni Bradshaw in virtù della mia passione per le storie familiari.
Il romanzo della Cusk parla infatti di un periodo della vita della famiglia Bradshaw, soffermandosi in particolare sulle figure di Thomas, che ha preso un anno sabbatico e passa dunque le sue giornate a casa, e Tonie, sua moglie che invece ha ricevuto un incarico importante dalla sua università e dunque passa sempre più tempo fuori casa. Uno spazio significativo è dedicato anche al fratello di Thomas, Howard, e alla sua famiglia, in particolare alla moglie Claudia, e qualche breve flash all’altro fratello Leo e a sua moglie Susie, nonché ai genitori di questi tre fratelli.
Lo stile narrativo della Cusk è certamente particolare, in quanto la scrittrice non adotta una narrazione lineare, bensì è come se in ciascun capitolo mettesse a fuoco una situazione o un dettaglio, lasciando al lettore il compito di costruire l’esile trama d’insieme.
La scrittura (molto ben resa dalla traduttrice Silvia Pareschi) ha una forte componente intellettualistica, messa al servizio del ritratto di una famiglia borghese in cui ogni componente è a suo modo profondamente frustrato e infelice.
In questo senso la Cusk eredita la lunga tradizione americana dei romanzi che tolgono il velo da quell’immagine di perfezione della famiglia borghese che a lungo la società americana ha coltivato e veicolato. Per alcuni versi il libro mi ha riportato alla mente romanzi quali Le correzioni di Jonathan Franzen.
E – anche considerando la reazione che avevo avuto alla lettura del libro di Franzen – può essere che io abbia una specie di idiosincrasia verso questa tematica e questo stile.
Col passare del tempo sopporto sempre meno questa passione quasi morbosa degli scrittori americani per questa forma di “male di vivere”, che appare ai miei occhi indebolita dall’insipienza di questi personaggi frustrati e scontenti senza motivo.
Per di più, man mano che il topos della famiglia che guardata da vicino mostra tutte le sue crepe continua a essere usato e abusato, il senso di artificiosità che porta con sé risulta crescente, creando un inevitabile e fastidiosa distanza emotiva – forse voluta – dai protagonisti.
Ho sperato più volte nel corso della lettura in un guizzo o in un cambio di marcia, ma la Cusk prosegue dall’inizio alla fine sullo stesso binario, semmai scavando via via più in profondità il solco del grigiore emotivo della famiglia Bradshaw.
Voto: 2,5/5
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