In attesa che i cinema riaprano e che io possa nuovamente immergermi nel buio di una sala cinematografica per vivere un’esperienza al contempo solitaria e collettiva di visione di un film sul grande schermo (quanto mi è mancata questa cosa?), mi sono iscritta al portale Mio Cinema, che consente di vedere film on demand, collegandosi a una sala fisica a scelta (all’interno di alcuni circuiti) della propria città.
Ho potuto così vedere il film dei fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo, già apprezzati per il loro primo lungometraggio, La terra dell’abbastanza.
Con Favolacce, che ha vinto tra l’altro il premio per la miglior sceneggiatura alla Berlinale, i due registi fanno un ulteriore salto di qualità, spostandosi dal realismo del primo lavoro su un terreno decisamente più sfidante e se vogliamo anche più rischioso, quello della favola nera in bilico tra registro naturalistico e registro grottesco.
In questo film i D’Innocenzo manifestano la loro “appartenenza” alla scuola di Garrone, sebbene dimostrino di avere uno stile e una poetica del tutto personali, che ovviamente saranno messe alla prova del tempo.
Siamo nella periferia sud di Roma, a Spinaceto. Non si tratta della periferia “coatta”, fatta di palazzoni e poveracci male in arnese che frequentano ambienti contigui alla malavita.
Questa periferia è fatta di villette non particolarmente lussuose, ma pur sempre villette, abitate da una microborghesia che ha raggiunto una condizione socio-economica decente, ma molto instabile.
L’espediente “letterario” utilizzato è quello del manoscritto ritrovato: in questo caso si tratta del diario di una ragazzina, scritto con la penna verde, che racconta una storia affascinante che si interrompe a un certo punto senza dare spiegazioni. L’uomo che ha ritrovato il diario è anche il narratore di questa storia e a tratti sembra identificarsi con alcuni dei suoi protagonisti.
Nel sobborgo fatto di villette basse che è al centro di questo racconto, e che è descritto come se venisse sempre guardato attraverso il vetro di un acquario o l’oblò che dà sull’interno di una nave, vivono alcune famiglie i cui figli in età di scuola media, dunque alle soglie dell’adolescenza, vanno a scuola insieme.
Due di loro sono i figli, bravissimi a scuola (hanno quasi tutti 10!), di una coppia la cui madre mantiene la famiglia, mentre il padre (Elio Germano) ha perso il lavoro, con tutto il carico di frustrazioni che questo porta con sé. I loro vicini sembrano economicamente più tranquilli – il padre vanta addirittura successi lavorativi – ma hanno una figlia strana che a scuola ha bisogno del sostegno. In una casa prefabbricata in mezzo agli alberi (tale che sembra di stare nelle ambientazioni americane dei film di Minervini) vivono invece un padre e un figlio, il primo un ragazzone un po’ borderline che sbarca il lunario con un lavoro da cameriere, il secondo un ragazzino smunto e chiuso, bullizzato dai suoi compagni. Poi c’è la ragazzina di ottima famiglia, con i capelli sempre in ordine e vestita sempre bene, che “amoreggia” con il figlio di Elio Germano. Quest’ultimo però è attratto dalla figlia della responsabile della mensa scolastica, che è coattissima e ignorante (e incinta!), ma ha qualcosa in fondo di verace.
L’atmosfera nel suo complesso è fin dal principio inquietante, in una maniera a dire la verità indefinibile, ma decisamente palpabile. L’inquietudine è accentuata dal modo di usare la camera da parte dei registi, con le inquadrature sghembe dei protagonisti e i dettagli fisici in primo piano, che conferiscono un tratto fortemente grottesco e irrealistico all’insieme della narrazione.
Probabilmente questo sguardo amplificato e in parte distorto si giustifica in quanto trattasi dello sguardo dei ragazzini sul mondo degli adulti. Se gli adulti sono spaventosi per l’accumulo di frustrazioni che si portano dentro, per l’infelicità che spandono intorno, per la loro immaturità e per lo squallore delle loro vite riuscite solo in parte e dei loro comportamenti beceri o rassegnati (a seconda che si tratti di uomini o di donne), questi ragazzini sono spaventosi per l’eccesso di consapevolezza che hanno sul mondo intorno, e dunque per il cinismo prematuro e la rassegnazione dolorosa rispetto al futuro che li attende e che rifiutano.
Questo pessimismo esistenziale riferito all’età giovanile mi ha fatto tornare in mente il film francese L’ultima ora, dove pure i protagonisti erano giovani (un po’ più grandi) accomunati dal senso di fallimento della nostra società e della nostra epoca e decisi a mettere la parola fine a una vita percepita come senza prospettive.
È un punto di vista questo che mi tocca profondamente, perché è qualcosa che osservo nei ragazzi che conosco meglio, a partire dai miei nipoti, giovani che già da un'età in cui noi eravamo ancora ingenui e gravitanti nel mondo dell’infanzia sono già completamente immersi nella cappa di pesantezza dei problemi del mondo, fino all’assurdo di non essere in grado di coltivare la speranza e l’utopia che dovrebbe essere propria della loro età.
È certamente in parte colpa degli adulti – non solo dei genitori (nel film c’è ad esempio anche un’inquietante figura di insegnante) – che da un lato li “trascurano” come se questi ragazzi fossero già grandi e capaci di gestire la complessità che gli viene messa nelle mani e dall’altro li “proteggono” forse eccessivamente concentrando le aspettative solo su alcuni fronti. In parte è colpa di un fallimento sociale che ha creato un modello di vita e di felicità illusorio e fallace e che ha lasciato moltissimi alle prese con i propri sogni infranti e le proprie frustrazioni.
Ma non è solo questo. Le cause sono forse più profonde e le responsabilità più diffuse. Non so se c’è di che essere spaventati per il futuro, oppure è il normale ciclo della vita, cosicché - pur essendo vero che ogni generazione è diversa dall’altra - è vero anche che la storia è destinata comunque e sempre a ripetersi, in modi solo apparentemente diversi, ma in realtà sempre uguali.
Per fortuna il mio punto di vista radicalmente materialistico non mi fa mettere tutte le mie speranze sul futuro dell’umanità, bensì mi spinge a investire le energie su quel breve lasso di tempo che è la mia vita sulla terra e che è l’unica cosa che abbiamo realmente a disposizione.
Voto: 4/5
A differenza di molti, non mi ha entusiasmato... mi pare la brutta copia di un film di Haneke, dove tutto è già visto. Mi sono piaciuti molto gli interpreti, quello sì, ma dal punto di vista critico non gridò al miracolo
RispondiEliminaCiao Kris! La pensi come un altro mio amico che dice sostanzialmente la stessa cosa, ossia che non c'è nulla di originale! A me è piaciuto, può essere che il fatto di tornare a vedere una prima visione dopo così tanto tempo mi abbia ben disposto! Un abbraccio e spero tu stia bene!
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