Michel Gondry è secondo me uno dei cineasti più versatili ed originali del nostro tempo, dotato di una creatività e di una capacità immaginifica decisamente rara. Lui – per intenderci – è quello di The eternal sunshine of the spotless mind (indimenticabile film con Jim Carrey e Kate Winslet), ma anche de L’arte del sogno e di Microbo e Gasolina. Non sempre i suoi lavori sono ugualmente riusciti e risolti, ma in ogni suo film è possibile trovare degli spunti interessanti e sorprendenti.
In questo caso Gondry decide di raccontare uno dei più grandi pensatori della nostra epoca, Noam Chomsky, e lo fa a modo suo. Innanzitutto lo riprende con una cinepresa meccanica di cui conserva nel film il rumore in sottofondo, in secondo luogo sceglie di evitare per quanto possibile il montaggio e di raccontare quello che Chomsky dice in risposta alle sue domande attraverso dei disegni animati. La premessa – che il regista ci spiega all’inizio del film – è che il video, anche quello di carattere documentario, è per sua stessa natura manipolatorio, e che - attraverso la scelta delle parti di girato da mostrare e del montaggio che viene applicato - di fatto lo spettatore viene indotto a seguire il ragionamento del regista, pur pensando di stare semplicemente osservando la realtà.
Per evitare questa impressione di realtà in presa diretta, Gondry sceglie di introdurre l’elemento di finzione nella forma delle animazioni e del rumore della cinepresa per non far mai dimenticare allo spettatore che quella che guarda è una realtà ricostruita.
Con questi presupposti, Gondry propone un ritratto a tutto tondo di Chomsky, di cui porta alla luce sia la dimensione privata che quella dello studioso, in particolare per i suoi innovativi studi di linguistica. Mi pare che Gondry scelga di mantenere volutamente sullo sfondo l’attivismo politico di Chomsky che emerge di tanto in tanto nei suoi ricordi, ma che non è centrale nella narrazione, a favore della componente umana e di quella scientifica.
Il dialogo sui temi centrali della ricerca di Chomsky in campo linguistico, in particolare quelli relativi alla grammatica generativa, fa emergere discorsi complessi che si fa fatica a seguire, e rispetto ai quali lo stesso regista e intervistatore è talvolta perplesso, tra l’altro non certo favorito dal suo inglese con forte accento francese che rende la conversazione con lo studioso non sempre semplice e piana.
Ci si perde nelle parole di Chomsky, e in molto casi ci si sente stupidi esattamente come Gondry di fronte alle sue spiegazioni, ma poi si resta folgorati quando improvvisamente alcune sue affermazioni ci illuminano e ci si scolpiscono nel cervello, come quando ci dice che in natura tutto è semplice e ha una spiegazione semplice, il che vuol dire che se qualcosa ci appare complesso è perché non l’abbiamo ancora compreso. Interessanti anche le riflessioni sul fatto che la scienza avanza quando qualcuno cambia completamente il punto di vista sulle cose e anche le riflessioni sulla morte, termine naturale di un ciclo vitale che arriva dal nulla e finisce nel nulla, senza essere dotato di senso, sebbene la morte delle persone che amiamo non possano che lasciare delle ferite indelebili nella nostra anima.
Per me che sono affascinata dalle scienze cognitive – che come dice Chomsky sono ancora ai primordi – un film di grande impatto, nonostante la difficoltà anche solo di arrivare per intuizione a cogliere alcuni dei ragionamenti che il grande studioso ci propone.
Un film anomalo, forse non del tutto riuscito, ma di grande interesse.
Voto: 3,5/5
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