La ferocia / Nicola Lagioia. Torino: Einaudi, 2014.
Avevo comprato il romanzo di Nicola Lagioia diversi anni fa, non molto dopo la sua uscita e il suo trionfo al Premio Strega. Ma non era stato il successo del romanzo ad attirarmi verso di esso, bensì la mia contiguità geografica alla sua ambientazione (è ambientato nella zona di Bari e dintorni, soprattutto il sud barese) e cronologica al suo autore (Lagioia, oltre a essere barese come me, è nato come me nel 1973).
In realtà devo confessare che avevo già tentato di iniziarne la lettura poco dopo averlo comprato, ma in quel momento l’avevo trovato respingente e l’avevo abbandonato. Adesso evidentemente era arrivato il momento opportuno per affrontare questa storia nerissima, il cui titolo rende perfettamente la tensione emotiva che attraversa la narrazione e le relazioni tra i suoi personaggi.
La storia è quella della famiglia Salvemini, il cui capofamiglia Vittorio è un immobiliarista di grande successo e fortuna che nella vita ha sempre dovuto accettare molti compromessi e che si trova ad affrontare un grosso rischio per la sua impresa in relazione alla costruzione di un complesso turistico-residenziale nella zona del Gargano. Il romanzo però inizia con un altro evento dirompente: la figlia Clara che cammina nuda per la statale coperta di sangue e viene poi ritrovata morta ai piedi di un autosilo, suicida secondo il rapporto del medico legale.
Di qui si dipanano i fili della complessa vicenda di questa famiglia, che oltre a Vittorio e Clara è formata da Annamaria, la moglie di Vittorio, il figlio maggiore Ruggero, primario oncologo in una famosa clinica pugliese, il fratellastro Michele, nato da una relazione extraconiugabile di Vittorio, e la sorella più piccola Gioia.
Fin dalle prime pagine è evidente che dietro la morte di Clara si nascondono verità impronunciabili e vicende complesse che intrecciano le sorti di molte persone. Lagioia ricostruisce queste verità e vicende andando avanti e indietro nel tempo, e cambiando ripetutamente il punto di vista della narrazione, allestendo un puzzle che sta al lettore a poco a poco ricostruire. Ed esattamente come accade quando si fanno i puzzle, quando ci si avvicina alla fine e mancano pochi pezzi a comporre la figura intera ci si fa prendere da una febbre che spinge a continuare fino a mettere la parola fine.
Tutto questo accade anche se attraversare le pagine de La ferocia è doloroso ed emotivamente molto impegnativo, perché le miserie, le colpe, le omissioni di cui straripa questo romanzo sembrano non lasciare scampo e tracimare al di fuori delle sue pagine inondando anche la nostra vita.
Al centro di questa storia c’è il rapporto speciale e a suo modo esclusivo tra Clara e il suo fratellastro Michele: quest’ultimo, la cui madre è morta dandolo alla luce e che non si è mai sentito veramente accolto dai Salvemini, è un ragazzo dotato e disturbato al contempo; lei, Clara, è una ragazza molto bella e magnetica, non le manca nulla e può avere tutti ai suoi piedi, ma un giorno – come una rivelazione – percepisce il dolore di Michele e lo fa proprio, o meglio ne fa la cassa di risonanza del proprio.
I due vivono un momento di straordinaria connessione emotiva, quasi di amore, ma verranno separati: Michele andrà prima a fare il militare ad Avellino, poi ricoverato in una clinica psichiatrica, poi mandato a vivere a Roma, Clara dovrà gestire il vuoto e lo riempirà trasformandosi in una specie di femme fatale dolente e quasi inconsapevole, fino a imboccare una china autodistruttiva che la porterà alla morte.
Ma nel libro di Lagioia non esiste una linea netta di demarcazione tra buoni e cattivi, tra colpevoli e innocenti, bensì solo gradi diversi di colpevolezza all’interno di un universo familiare e sociale in cui l’umanità stessa sembra venuta meno, e l’unico modo per sopravvivere è diventare impermeabili al dolore e a qualunque sentimento di compassione.
Persino l’estremo gesto di Michele che vorrebbe vendicare la morte di sua sorella in fondo non è altro che il tentativo estremo di togliere quel mattone portante che fa crollare l’edificio su di lui e su tutti gli altri, sperando di segnare un punto zero di rinascita, ma sapendo anche che dal male e dal marciume non può che nascere altro male e altro marciume in una spirale infinita.
Un romanzo disperato e disperante, in cui l’angoscia è il principale compagno di viaggio, ma che forse proprio in questo mostra i suoi limiti, ossia nel trasformare il mondo esterno in una proiezione di un pessimismo interiore e di una visione negativa del mondo, che nel loro essere estremi finiscono per risultare a tratti eccessivi. Ciò però non ridimensiona l’effetto devastantemente potente che la scrittura di Lagioia è in grado di produrre nel lettore ignaro che spera di incontrare qualche elemento di luce e di ottimismo, ma che in questa speranza è destinato a essere costantemente deluso, picconato dal cuore nero di questo romanzo.
Voto: 3,5/5
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