Autunno / Ali Smith; trad. di Federica Aceto. Roma: Edizioni SUR, 2018.
Dopo la lettura di Voci fuori campo, che avevo trovato interessante ma poco nelle mie corde, ho deciso di offrire ad Ali Smith una seconda possibilità leggendo il primo romanzo della sua tetralogia ispirata alle stagioni, ossia Autunno.
Autunno parla principalmente di due persone: Elisabeth, una ricercatrice trentenne precaria che vive a Londra e sa che non potrà mai permettersi di comprare una casa, e Daniel, un anziano signore che è ricoverato in una clinica in una condizione di sonno profondo negli ultimi giorni della sua vita.
Tra i due esiste un’amicizia di vecchia data, risalente a quando Elisabeth era bambina e abitava in una casa in un paesino di provincia, il cui vicino era appunto Daniel, personaggio misterioso e originale, che la madre di Elisabeth guardava con un po’ di riserve ma a cui alla fine si affidava per fare da “babysitter” a Elisabeth quando lei era al lavoro. Quella tra Daniel e la bimba è un’amicizia fatta di stimoli e di idee, di parole e di racconti, tutte cose che lì per lì appaiono quasi insensate o quantomeno decontestualizzate, ma che gettano semi importanti nel percorso di Elisabeth e saranno destinati a fiorire molto più avanti, nel suo percorso di vita e di ricerca.
Dopo gli ultimi dieci anni di allontanamento (il cui motivo non ci viene spiegato), Elisabeth decide di tornare al suo paese natio per stare vicino a Daniel negli ultimi giorni di vita. Si ricreano, dunque, in modo però inevitabilmente diverso, le dinamiche del passato, nel triangolo tra Elisabeth, sua madre e Daniel. Mentre la madre di Elisabeth partecipa a una trasmissione televisiva e qui incontra l’amore in una donna che era da bambina la protagonista di uno spettacolo televisivo della sua infanzia, Daniel è immerso in un sonno profondo da cui emergono tracce del suo passato ed Elisabeth prova a ricongiungere i pezzi del passato e del presente trovando nella figura della pittrice Pop-Art Pauline Boty una specie di ideale fil rouge che attraversa il tempo.
Al di fuori di questo microcosmo c’è un’Inghilterra attraversata dagli umori legati alla Brexit e dai venti del razzismo e della xenofobia, in cui non c’è spazio per il confronto civile, per la costruzione delle idee, per la tolleranza e persino per il racconto.
Nel suo stile tipico, fatto di frammenti scomposti, discontinuità narrativa e suggestioni volutamente mantenute un po’ oscure, Ali Smith ci parla di un mondo in decadenza, ma anche della resistenza opposta dai sentimenti e dalle relazioni, dell’importanza di recuperare le storie e i racconti, della necessità di salvare l’arte e la letteratura, e con loro la bellezza e l’umanità.
Un libro in cui non tutto viene spiegato e non tutto alla fine risulta chiaro (cosa che per una mente razionale come la mia non è facile da accettare), ma che – se riuscite a entrare in sintonia con la sensibilità originale di Ali Smith e dei suoi personaggi – vi lascerà qualcosa dentro. A me ha detto forse meno di quello che avrebbe potuto, ma del resto è come nell’amicizia e nell’amore: è tutta questione di chimica.
Voto: 3/5
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