È il giorno della prima del nuovo spettacolo teatrale di Fabrizio Gifuni, in programmazione al Teatro Vascello. La sala a poco a poco si riempie completamente, e molte sono facce note della politica, dello spettacolo, del giornalismo.
Le luci si spengono e Fabrizio Gifuni entra e si ferma al centro del palco, raccontandoci come è nato questo spettacolo e qual è il suo contenuto. Tutto è cominciato con lo studio delle carte che Aldo Moro scrisse durante i suoi 55 giorni di prigionia nelle mani delle Brigate Rosse, o quanto meno di quella parte delle carte che sono pervenute fino a noi. Gifuni ci ricorda che la parte degli scritti di Moro che conosciamo è il risultato di invii e di successivi "ritrovamenti", dei quali l'ultimo avvenuto a distanza di molto tempo dalla sua morte e comprende moltissime lettere, ai familiari, agli amici, ai compagni di partito e ad altri personaggi politici, e il cosiddetto "memoriale", un testo di carattere politico stimolato anche dalle domande dei carcerieri. L'attore si sofferma anche sul fatto che le prime lettere che furono spedite da Moro durante la prigionia furono bollate come "false" da parte della dirigenza del partito, e in alcuni casi come il risultato di forme di coercizione da parte dei brigatisti, cosa tra l'altro rispetto alla quale - a più riprese negli scritti successivi - Moro si mostra incredulo e rammaricato.
Dopo questa importante premessa, l'attore scompare dietro le quinte e ricompare poco dopo, calato nelle vesti di Aldo Moro, con un grosso plico di fogli in mano, che di lì in poi leggerà in ordine cronologico e senza soluzione di continuità.
Il tono è inizialmente sofferente, tenero, accorato, ancora pieno di fiducia; poi via via si fa sempre più disperato e rabbioso, consapevole di essere stato abbandonato dal partito e dalle istituzioni in nome di una presunta ragion di stato o forse di qualcos'altro ancora.
Pur trovandoci semplicemente di fronte a un uomo che legge delle lettere e altri scritti, l'esperienza è fortemente immersiva e il merito è da un lato del contenuto potente di queste pagine, dall'altro della capacità di Gifuni di calarsi nello stato d'animo del suo personaggio, trasmettendolo in presa diretta non solo attraverso le parole, bensì anche attraverso le modulazioni della voce e i movimenti, contenuti ma eloquenti.
Un bagno doloroso in una delle pagine più oscure e più tristi della storia repubblicana italiana, i cui contorni ancora oggi restano in ombra e il cui intreccio affonda le radici in vicende che vanno al di là dei confini nazionali.
Bisogna rendere merito a Gifuni, dopo aver dato voce agli scritti di Gadda e Pasolini, di aver restituito la voce a un uomo la cui voce è stata e continua a essere ridotta al silenzio.
Voto: 3,5/5
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