Dopo la non facile esperienza con il documentario dedicato a Bruce Chatwin, torno a sperimentare il cinema di Werner Herzog con la visione di questo suo nuovo documentario, Family Romance, Llc. che è il film di apertura, fuori concorso, della settima edizione dell'On The Road Film Festival, organizzato dal cinema Detour.
Il film mi aveva incuriosita sia per la location, il Giappone, Tokyo in particolare, sia per il soggetto: Family Romance, Llc. è il nome di un'azienda giapponese fondata da Ishii Yuichi che fornisce un tipo di servizi molto particolare, ossia aiuta le persone a realizzare i propri sogni grazie a una schiera di attori - compreso lo stesso Ishii Yuichi - che, a seconda dei casi e delle necessità, possono interpretare il ruolo di amici, genitori, figli, fotografi di moda e qualunque altra figura di cui i clienti sentano la necessità.
In pratica la società offre dei surrogati emotivi in situazioni che le persone non riescono o non vogliono affrontare con le proprie risorse interiori ovvero nel tentativo di modificare la realtà secondo i propri desiderata.
Osserviamo così Ishii Yuichi e i suoi dipendenti-attori in diverse situazioni in cui vengono chiamati a intervenire: una donna che vuole mostrarsi per strada circondata da paparazzi in modo che la sua immagine possa diventare virale e lei famosa, una giovane sposa e sua madre alla ricerca di un padre alternativo che accompagni la figlia all'altare, una signora che ha vinto alla lotteria e vuole riprovare ancora l'emozione di quella notizia. La storia che fa però da asse portante di tutto il documentario è quella di una madre che chiede l'intervento di Ishii per impersonare il padre di sua figlia di 12 anni, con tutte le implicazioni e le complicazioni che un rapporto così delicato può comportare.
Nel seguire da vicino le attività della Family Romance, Llc. si ha la sensazione che il suo fondatore non consideri la sua una pura iniziativa commerciale a scopo di lucro, bensì la ritenga una specie di servizio di valore sociale, una risposta costruita a tavolino alle frustrazioni, alle mancanze affettive, alle infelicità individuali, che in prospettiva non esclude l'utilizzo di robot umanoidi.
Senza dubbio dietro questa iniziativa aziendale ci sono le peculiari caratteristiche della società giapponese e il suo modo originale - e decisamente poco comprensibile per noi occidentali - di vivere le relazioni e i sentimenti; ed è probabilmente per questo che, a più riprese durante la visione del film, si è portati a ridere o sorridere di cose che ci appaiono incredibili e lontanissime da noi. E però, è innegabile che nello spettatore si faccia a poco a poco strada la consapevolezza che quanto vediamo sullo schermo potrebbe non essere così alieno al mondo nel quale viviamo e potrebbe prima o poi prendere piede anche da noi.
La risata si fa dunque sempre più amara, mentre cresce l'angoscia verso un futuro imprevedibile a fronte di un essere umano che via via perde il senso del confine tra vero e falso, tra reale e costruito, e che in fondo è ben disposto ad "accontentarsi" di una recita - per quanto realistica - piuttosto che affrontare la realtà.
Il documentario di Herzog - che dal mio punto di vista conferma cinematograficamente alcune sensazioni che avevo raccolto già nella precedente visione, in particolare rispetto alla tendenza a indugiare nelle situazioni producendo una lentezza narrativa talvolta eccessiva - è però un'occasione di riflessione individuale e sociale di grandissimo rilievo e assolutamente indispensabile.
Voto: 3,5/5
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