Nel loro ultimo film, Le jeune Ahmed (in Italia L'età giovane), i fratelli Dardenne si cimentano con un tema particolarmente scomodo, ma di stringente attualità, ossia l'integralismo religioso, in questo caso musulmano.
Il protagonista della loro storia è Ahmed (Idir Ben Addi), un ragazzino di 12-13 anni, di origine maghrebina e di religione musulmana che vive in Belgio. Ahmed frequenta la scuola, dove ha un'insegnante anch'essa musulmana, e la moschea, il cui imam predica la più ferrea ortodossia religiosa e simpatizza per la jihad, mezzo per difendere la religione islamica ed eliminare apostati e blasfemi.
In realtà, la famiglia di Ahmed è molto integrata nella società belga e la loro religiosità è ben lontana dall'ortodossia (né la madre né la sorella portano il velo); Ahmed vive invece nell'ammirazione di un cugino morto martire per la jihad e segue pedissequamente i precetti del Corano, sulla base della guida dell'imam.
Il suo convincimento e la sua dedizione all'Islam sono tali che a un certo punto - poiché l'insegnante di arabo vuole insegnare la lingua non solo a partire dal Corano - aizzato contro di lei dal suo imam, tenta di ucciderla con un coltello e finisce in un centro per minori.
Né la manifesta viltà del suo imam, che dopo il fatto si dissocia immediatamente, né il dolore di sua madre, né l'amore di una ragazzina conosciuta nella fattoria dove fa lavori socialmente utili, né tantomeno il trauma psicologico provocato alla sua insegnante distoglieranno Ahmed dalla sua adesione totale e senza cedimenti alla linea integralista, fino a un finale ambiguo che potrebbe essere letto in senso rasserenante, ma anche in senso contrario.
Quello che certamente non manca ai Dardenne è il coraggio di affrontare temi controversi e la volontà di portare all'attenzione storie che facilmente potrebbero prestarsi alla strumentalizzazione, tanto più all'interno di un modo di fare cinema che per i fratelli rimane fedele a uno stile scarno ed essenziale che certo non aiuta a contestualizzare e lascia quasi interamente sulle spalle dello spettatore l'onere di intuire e/o comprendere quello che si muove sotto la superficie.
Ahmed è un adolescente, e come tutti gli adolescenti è sicuramente alla ricerca della propria identità e tendenzialmente in rotta di collisione con l'ambiente familiare più stretto. Ha un'età in cui non si è più bambini, ma neanche adulti, e anche il suo corpo testimonia questo momento di transizione nella meccanicità e goffaggine dei movimenti, celati dietro un atteggiamento innaturalmente determinato e spavaldo.
Non v'è dubbio che dietro le scelte di Ahmed ci sia anche un cattivo maestro che non si rende pienamente conto delle azioni che le sue parole possono innescare, e che forse vanno addirittura al di là delle sue intenzioni. Ma mi pare difficile poter attribuire solo a questo la deriva di Ahmed, né è possibile individuare in altri fattori di contesto elementi che aiutino a comprenderne gli orientamenti e le azioni.
Probabilmente ciò che porta Ahmed "dalle ore alla playstation alle ore di preghiera" - come dice sua madre - è un processo tutto interiore che inevitabilmente ci sfugge e che facciamo fatica a giustificare. E come spesso accade nei film dei Dardenne, i registi non sembrano aiutarci granché e si limitano a rappresentare i fatti, per quanto estremi.
Capisco che il cinema debba soprattutto far riflettere e spingere lo spettatore ad adottare uno spirito critico attivo, ma di fronte a tematiche così delicate sinceramente a me è parso che qui lo spettatore sia lasciato un po' troppo solo a tirare le sue conclusioni. Può essere che in Belgio, dove il Ministro per la gioventù e lo sport belga si chiama Rachid Madrane (ringraziato nei titoli di coda), nonostante le esperienze dolorose causate dal fondamentalismo, il dibattito sia più pacato e di più alto profilo (anche se non ne sono sicura), ma certo in altri paesi dove la polarizzazione e la strumentalizzazione sono dietro l'angolo, qualche rischio in un film come questo io lo vedo.
Voto: 3/5
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