Rosa è l'opera prima della regista istriana Katja Colja e racconta la storia di una donna sui sessant'anni (la bravissima Lunetta Savino) che è sposata da quarant'anni con Igor (Boris Cavazza) e per lui si è trasferita dalla solare Puglia in quella città di confine che è Trieste. I due hanno avuto due figlie, Maja e Nadia. La prima - amante del mare come il padre - è uscita in barca a vela e non è più rientrata, la seconda sta per sposarsi.
Rosa vive nel dolore per la perdita della figlia e sembra cercare tutti i modi possibili per rimanerci attaccata: chiude serrande e finestre ogni volta che è possibile; finge di aver perso la chiave della stanza di Maja per non doverla rivedere e per mantenerla immobile; va continuamente al cimitero dove sta facendo realizzare una cappella dove si farà inumare vicino alla tomba vuota della figlia; si veste come se fosse più vecchia dell'età che ha; non si cura del rapporto con suo marito che non a caso è in crisi e prossimo alla fine.
Rosa e Igor continuano a fingere che tutto vada bene solo agli occhi della seconda figlia, alla quale non sfugge però quanto i loro pensieri vadano altrove.
Nella prospettiva che la casa dove vivono venga venduta, Rosa decide di rimettere piede nella stanza di Maja, e qui la donna si trova a contatto con tracce e indizi che la portano verso un mondo che non conosce ma che evidentemente era quello a cui apparteneva sua figlia.
Il richiamo è troppo forte, e Rosa si presenta in un salone di parrucchiera gestito da Lena, una donna con cui Maja sembra aver avuto dei legami. Si innesca di qui un processo - prima graduale poi sempre più dirompente - che porterà Rosa non solo a scoprire vita e identità di sua figlia, di cui conosceva poco, ma anche a mettersi di fronte sé stessa e a fare i conti con la necessità di elaborare un dolore indicibile per permettere alla vita di scorrere ancora attraverso sé stessa e le persone che ama.
I punti di forza del film di Katja Colja sono il suo minimalismo e la scelta di mettere da parte qualunque tentazione didascalica o universalistica. La regista volutamente non fornisce tante spiegazioni: molte cose restano implicite, molte altre si intuiscono e altre ancora restano non conosciute, e persino gli ambienti e il modo di rappresentare le persone al loro interno funziona per sineddoche, lasciando allo spettatore il compito di ricostruire il quadro di insieme a partire dal dettaglio.
Il percorso di Rosa attraverso l'elaborazione del lutto e il processo di riscoperta di sé sono totalmente soggettive e parzialmente inspiegabili, come è normale che sia, perché situazioni emotivamente così deflagranti non possono che produrre risposte del tutto individuali e viaggiare su strade sempre nuove e imprevedibili.
Come la vita si faccia nuovamente strada nel dolore della morte resta un mistero insondabile che ha a suo modo del miracoloso. E questo Katja Colja lo racconta molto bene.
Il film è un lento viaggio emotivo nell'anima di una donna e del suo dolore, e poi nella riscoperta della sua voglia di vivere, ma l'identificazione non è scontata - credo che la regista lo metta nel conto - e dunque lo spettatore deve essere pronto a vivere questa storia su un piano che cede pochissimo al melodramma e che semmai - come è stato notato - attinge di più al registro emotivo dei film dell'Est Europa.
Voto: 3/5
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