Per una curiosa e involontaria coincidenza vado a vedere Antropocene il giorno dopo il Friday for future, la manifestazione che ha mobilitato milioni di persone, soprattutto giovani, a sostegno delle politiche a favore dell’ambiente e per combattere il climate change.
Il tema di Antropocene (che è oggetto anche di una mostra che conto di vedere prossimamente a Bologna) non è molto lontano da quelli sollevati dalla manifestazione. La premessa del film è che un gruppo di studiosi da diversi anni sta tentando di dimostrare che il tempo geologico chiamato Olocene è finito e che la terra è entrata in una nuova era geologica il cui nome – antropocene appunto - fa fin da subito riferimento alla capacità senza precedenti dell’uomo di plasmare e trasformare la terra secondo i propri scopi.
Il film documentario – che si articola in diverse sezioni volte a mostrare le diverse modalità con cui l’uomo interviene in maniera sempre più pesante sul pianeta – ha una struttura sostanzialmente circolare: inizia con una sequenza durante la quale delle persone stanno accatastando centinaia e centinaia di zanne di elefante, senza che venga spiegato per quale fine, e termina con il rogo di questi cumuli di zanne voluto dalla presidenza del Kenia per segnare la fine dello sfruttamento dell’avorio e dell’uccisione degli elefanti africani, ormai in via di estinzione.
In un certo senso in queste due sequenze è racchiuso il senso di questo film, dimostrando con un esempio molto concreto, che lo stesso uomo che ha perpetrato un’azione distruttiva sul pianeta (in questo caso a svantaggio degli elefanti), ora – e forse troppo tardi – si è reso conto della necessità di rimediare.
Nel mezzo del film immagini e brevi interviste provenienti da ogni parte del pianeta e che ci mostrano miniere e cave enormi, laghi di fosforo e litio, complessi industriali a perdita d’occhio, ecosistemi in via di distruzione. Le immagini sono al contempo grandiose nella loro bellezza estetica e forse proprio per questo inquietanti per il significato che veicolano e per la verità che celano e che viene svelata piano piano quando dalla ripresa ravvicinata si passa a uno sguardo di insieme.
Il messaggio del film è chiaro: rispetto al pianeta che abbiamo trovato nel momento in cui la specie umana è comparsa sulla terra, l'uomo è intervenuto a modificarne pesantemente gli equilibri a svantaggio degli altri esseri viventi e degli ecosistemi, ma infine probabilmente anche a svantaggio di sé stesso.
Tra le righe emergono altre verità sconcertanti, ossia che anche le scelte teoricamente finalizzate a ridurre l'impatto ambientale, ad esempio la transizione verso le auto elettriche, ha altre ricadute potenzialmente negative, come ad esempio la richiesta crescente di litio per batterie sempre più potenti.
Il quadro tratteggiato è dunque decisamente a tinte fosche. Io però da materialista quale sono - pur deprecando l'azione dell'uomo sulla natura che inevitabilmente priva l'uomo stesso della bellezza di cui ha potuto e potrebbe ancora godere - penso che a essere veramente in pericolo non è il pianeta, ma la vita sulla terra come la conosciamo adesso. In fondo l'antropocene non è altro che una nuova era nell'evoluzione geologica della terra e, come altre avvenute milioni di anni prima di noi e caratterizzate da condizioni del pianeta e forme di vita non paragonabili alle attuali, è destinata a terminare.
Una maggiore lungimiranza da parte della specie umana certamente ne consentirebbe una più lunga sopravvivenza, ma questa proiezione verso il futuro e questa ambizione di eternità che l'uomo ha dentro di sé in realtà non fa i conti con il processo implacabile del tempo, la casualità dell'evoluzione e la condizione di finitezza di qualunque cosa, anche quando questa finitezza si calcoli in milioni o miliardi di anni.
Dico questo non per sollevare l'umanità dalla grave responsabilità che ha nei confronti del pianeta e da una gestione del tutto folle delle sue risorse, ma per ribadire che nello straordinario e imponderabile ciclo della vita tutto è destinato a passare, anche l'umanità come specie.
Voto: 3,5/5
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