La bastarda della Carolina / Dorothy Allison; trad. di Sara Bilotti. Roma: minimum fax, 2018.
Siamo negli anni Cinquanta in South Carolina. Bone è la prima figlia della giovanissima Annie e non sa né saprà mai chi è suo padre. Alla sua nascita sua madre non può impedire che sul certificato compaia il timbro "bastarda".
Il romanzo di Dorothy Allison, in parte autobiografico, ci racconta l'infanzia e la prima adolescenza di Bone e, attraverso la sua storia, ci descrive un mondo fatto di povertà, di violenza, di sensi di colpa, ma anche di grandi affetti e di generosità.
Bone cresce divisa tra la famiglia di provenienza della madre, i Boatwright, una piccola tribu composta di nonna, zii, zie e cugini di varie età, che costituisce per la bambina una straordinaria rete di salvataggio in diversi momenti della sua esistenza, e il nucleo familiare ristretto a cui appartiene, composto - oltre che da lei e dalla madre - dalla sorella più piccola, Reese, figlia di un altro padre, e da papà Glen, l'uomo che Annie ha scelto dopo la morte del suo ultimo compagno.
Se da una parte la famiglia Boatwright lotta quotidianamente contro la povertà e la follia dei suoi componenti, ghettizzata dalla comunità cui appartiene per i comportamenti estremi in particolare degli uomini della famiglia che entrano ed escono dalla prigione, dall'altro papà Glen manifesta a poco a poco la sua frustrazione profonda dovuta principalmente a un padre anaffettivo che considera il figlio un fallito; cosicché dietro un'apparenza mite e composta, Glen dimostra di nascondere un'anima nera e uno squilibrio emotivo che si riverserà su Bone, oggetto al contempo di attrazione morbosa e di odio profondo.
Il giorno in cui sua madre sarà in ospedale per il travaglio della nascita di un terzo figlio che però nascerà morto, Bone - che aspetta in macchina con papà Glen - subirà la prima violenza, un trauma di cui la bambina non parlerà con nessuno, schiacciata dal senso di colpa e dall'istinto di proteggere sua madre da questa verità.
È su questo asse che si snodano e si ricompongono tutte le storie che attraversano il romanzo e che a volte sembrano vere e proprie parentesi o digressioni quasi compiute in sé stesse, ma che aiutano da un lato a tracciare i contorni di questo mondo e dall'altro a comprendere la psicologia di Bone e la sua evoluzione. Tra periodi di allontanamento dalla propria famiglia, vissuti sotto l'ala protettrice delle zie, Ruth, Alma e Raylene, o al seguito di conoscenti, come ad esempio la famiglia di Shannon, e periodi di terrore vissuti nella casa materna cercando di stare il più possibile fuori casa e di incontrare il meno possibile papà Glen, il vero cuore di questa storia è il rapporto tra madre e figlia e la rottura della fiducia che si consuma a poco a poco e diventa alfine irreversibile.
Bone ama sua madre ed Annie ama altrettanto sua figlia, ma questo amore da cui Bone si aspetta protezione deve fare i conti con l'immaturità e le carenze affettive di Annie che inquinano il legame di lei con Glen, un legame incredibilmente cieco fino a un certo punto e poi - di fronte all'evidenza della violenza di Glen nei confronti di Bone - talmente condizionato dal bisogno affettivo e talmente assolutizzante da determinare una scelta assurda e incomprensibile.
Dorothy Allison scrive un romanzo potente e lo fa senza mezzi termini e senza edulcorare né ingentilire la forza e il peso specifico dei sentimenti e dei pensieri che si sviluppano in questa bambina (e poi ragazzina), che inevitabilmente riconosce nella violenza l'unico linguaggio della sessualità. La scelta di raccontare esplicitamente i pensieri di Bone, anche quelli socialmente e moralmente più difficili da accettare, è un esercizio di verità che illumina e amplifica di converso anche i sentimenti positivi e i momenti di felicità e spensieratezza. Perché questo libro non è solo dramma e tragedia, ma sa mescolare registri e sentimenti di segno opposto che - come nella vita vissuta - sono difficili, talvolta impossibili da districare e tenere separati.
Uno dei pochi libri - tra quelli che ho letto - che ha anche il coraggio di sfatare il mito dell'infanzia (prima ancora che dell'adolescenza) come un'età non semplicisticamente felice e spensierata - circondata com'è spesso in letteratura e nell'immaginario collettivo da un alone di buoni sentimenti - bensì di rappresentarla nella sua totalità, ossia animata anche da pensieri negativi e da una cattiveria che è insita dentro di noi, esattamente come i sentimenti positivi, e che il contesto può alimentare o aiutare a depotenziare.
Il fatto che il romanzo di Dorothy Allison, come lei stessa ci racconta nella postfazione, abbia subito diversi tentativi di censura la dice lunga sull'ipocrisia della nostra società e sulla nostra conseguente incapacità di gestire la complessità.
Voto: 4/5
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