L'anno scorso, nel momento in cui io e F. ci siamo informate su questo spettacolo e abbiamo deciso che poteva essere interessante vederlo, le date possibili erano sold out. E dunque abbiamo dovuto rinunciarci.
Così, quest'anno quando lo abbiamo ritrovato in cartellone al Teatro India, non ci siamo lasciate sfuggire l'occasione di accaparrarci i biglietti per la prima del 19 marzo.
Settimo cielo, traduzione italiana dall'inglese Cloud nine, è ormai praticamente un classico del teatro contemporaneo: il testo fu scritto alla fine degli anni Settanta da Caryl Churchill, una drammaturga inglese tra le più note, soprattutto per il suo stile e per l'attenzione a tematiche legate alla guerra, al colonialismo, alle politiche sessuali.
La pièce è articolata in due atti.
Nel primo siamo nel 1879, in piena epoca vittoriana, in una colonia inglese in Africa, e protagonisti sono Clive, il capofamiglia, sua moglie Betty, i due figli Edward e Victoria, la governante Ellen, la signora Saunders, l'avventuriero Harry, e il servo di colore Joshua.
Sul palcoscenico campeggia una insegna al neon con la scritta "Africa 1879": i personaggi sono seduti su due panchine addossate al muro, da dove si alzano a turno per conquistare il centro della scena, allestita con quattro poltroncine. In fondo al palco man mano che l'azione prosegue si va gonfiando un grande mappamondo.
In questo mondo apparentemente ordinato, in cui esiste una precisa gerarchia di potere (la Gran Bretagna su tutti, il marito sulla moglie e sui figli, i padroni sui servitori, i bianchi sui neri, i seduttori sui sedotti), in realtà niente è come sembra e tutto viene rimescolato. Clive tenta di sedurre la signora Saunders, ma è lei che governa un gioco con piglio quasi masochistico, il servo Joshua è nero, ma è interpretato da un bianco, e nella sua apparente sottomissione al padrone dimostra di covare ben altri intenti e di perseguire una precisa strategia, la moglie Betty (interpretata da un uomo), pur completamente sottomessa al marito e privata apparentemente di qualunque volontà propria, è innamorata di Harry, ma concupita dalla governante Ellen, mentre Harry - in apparenza un dongiovanni e un tombeur des femmes - è omosessuale e insidia persino il figlio di Clive e Betty, Edward, decisamente effeminato (e di fatto interpretato da una ragazza). La figlia Victoria è una bambola, senza vita né parola, ultimo e dunque infimo anello della catena di potere.
Nel secondo atto, l'insegna luminosa ci ricorda che siamo a Londra nel 1979. Sul palcoscenico ci sono due panchine coperte di graffiti, mentre i personaggi continuano a stare seduti ai lati del palco, entrando a turno in scena.
Pur essendo passati cento anni, i personaggi sono in continuità con la storia precedente: Betty, questa volta interpretata da una donna, ha deciso di lasciare il marito Clive ma si ritrova a fare i conti con la propria fragilità dovuta al fatto di non aver mai potuto governare la sua vita e dunque condizionata dalla convinzione di non essere in grado di farlo; la figlia Victoria è sposata con Martin, un uomo prepotente e manipolatorio, ma a un certo punto cede alle avances di Lin, l'amica lesbica che ha una figlia piccola, Cathy (interpretata da un uomo) e un fratello militare a Belfast. Edward vive con il suo compagno Gerry, ma quest'ultimo è insofferente alla vita di coppia e continua a cercare avventure esterne, mentre Edward non ha ancora trovato il coraggio di parlare a sua madre della sua omosessualità. Lin, Victoria ed Edward a un certo punto iniziano una relazione poliamorosa, attraverso cui ognuno di loro cercherà di sfuggire alle insoddisfazioni della propria vita.
Verso la fine del secondo atto compare in scena un grande manifesto raffigurante Margareth Thatcher, diventata primo ministro britannico proprio nel 1979, inizio di un'epoca di conservatorismo sul piano politico e sociale dopo gli anni della rivoluzione sessuale.
In Settimo Cielo Caryl Churchill porta in scena - con grande coraggio e altrettanta naturalezza - temi scomodi e certamente controversi, mescolando scientemente le carte per costringerci a mettere in discussione qualunque convincimento morale e a riflettere in primis sulla trasversalità delle dinamiche di potere, vero nodo cruciale delle dinamiche sociali e fattore primario di condizionamento delle vite dei singoli.
Se nel 1879, pur nel contesto un po' defilato delle colonie africane che forse offriva margini di libertà maggiori, gli individui erano costretti a sottostare a rigide regole sociali soffocando le proprie aspirazioni e la propria natura, nella Londra del 1979 si aprono possibilità prima sconosciute, sebbene il retaggio del passato non può certo dirsi sconfitto, soprattutto di fronte alle nuove offensive di movimenti politici e sociali retrogradi e conservatori.
Per questo il testo della Churchill, pur figlio del proprio tempo e senza nascondere i suoi anni, resta di stringente attualità nel momento in cui continua a interpellarci su quanto possano ancora essere messi in discussione oggi diritti faticosamente conquistati e quanta strada c'è ancora da fare per dare a ognuno un compiuto potere e una sovranità effettiva sulle proprie scelte di vita. Perché - sembra dirci la Churchill - le uniche scelte inaccettabili e incompatibili con una società civile sono la guerra e la sopraffazione.
Personalmente mi aspettavo uno spettacolo forse più scoppiettante e dal ritmo molto più sostenuto, più giocato sul piano emotivo che su quello razionale; invece il testo della Churchill punta molto sul peso delle parole, sull'importanza dei dialoghi e sulla capacità dello spettatore di costruire parallelismi e interpretare sottotesti, pur all'interno di una scelta che sfugge al realismo nella rappresentazione. Al contempo, lo spettacolo di Giorgina Pi (del collettivo Angelo Mai) accentua ulteriormente le caratteristiche del testo con il minimalismo della sua messa in scena, pur cavalcando la giostra degli scambi di genere e degli effetti che ne conseguono, supportata in questo dall'ottimo cast formato da Michele Baronio, Marco Cavalcoli, Tania Garribba, Aurora Peres, Xhulio Petushi, Marco Spiga e Sylvia De Fanti, anche in versione cantante sia nel primo che nel secondo atto.
Voto: 3,5/5
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