Guilty, il film del regista danese Gustav Möller, piacerà molto a tutti coloro che a suo tempo - come me - avevano visto e amato Locke. I due film, pur molto diversi a livello di contenuti narrativi, hanno in comune il fatto di ruotare intorno a un unico personaggio che interloquisce con gli altri quasi esclusivamente attraverso il telefono e di affidare dunque lo sviluppo narrativo a quello che ascoltiamo di queste conversazioni telefoniche.
Nel caso di Guilty il protagonista è Asger Holm (il bravissimo Jakob Cedergren che riesce a reggere quasi un'ora e mezza di primissimi piani), un poliziotto che lavora al centralino del 112. Capiamo quasi subito che Holm è stato demansionato e sottratto al lavoro su strada, perché ha in sospeso un procedimento la cui udienza è prevista il giorno dopo.
Durante il suo turno, Holm raccoglie la telefonata di una donna, Iben, che finge di parlare a sua figlia rimasta a casa, ma in realtà sta chiedendo aiuto in quanto è stata rapita da suo marito. La linea cade quasi subito, ma Holm è catturato da questa vicenda e decide di indagare con i mezzi che ha a disposizione. Individua il numero di casa della donna e riesce a parlare con la figlia di costei, Mathilde, scoprendo che il fratellino è molto più piccolo ed è nell'altra stanza, e poi con l'ex marito della stessa che risulta avere precedenti penali.
Man mano che emergono nuovi tasselli sulla dinamica della vicenda, Holm si fa una propria idea di come sono andate le cose e opera nel tentativo di salvare la donna, decidendo di fermarsi e di continuare a seguire il caso anche al di là del suo orario di lavoro.
Nel frattempo altre telefonate rivelano a poco a poco anche i contorni della sua vicenda personale e permettono di intuire i motivi per cui il poliziotto è sotto procedimento.
Il caso di Iben, man mano che si profila nella sua interezza fino al pieno svelamento, mette in discussione lo stesso Asger e la sua capacità di valutazione, costringendolo a fare i conti con sé stesso e le conseguenze del proprio modo di essere e delle proprie azioni.
In una perfetta unità di tempo e di luogo (la vicenda si svolge tutta nell'ora e mezza di durata del film nella stanza della centrale operativa del 112), il film da un lato ci spinge a immaginare quello che sta accadendo al di là della cornetta, solo attraverso le voci e i rumori che ascoltiamo, dall'altro riesce a farci guardare nell'animo di Asger fino a comprendere i sentimenti contraddittori che gli si muovono dentro e la sua progressiva presa di coscienza.
Un bel thriller tutto costruito sul potere che ha la parola di attivare l'immaginazione, al punto da poter essere quasi paragonato alla lettura di un libro, in cui i pensieri raccontati sono qui espressi attraverso il volto di Cedergren, strumento interpretativo aggiuntivo del racconto verbale.
P.S. Avrei voluto vedere il film in lingua originale, e infatti avevo
appositamente scelto uno spettacolo al cinema Farnese, ma alla fine ho
dovuto vederlo doppiato perché le altre 3-4 persone (anziane!) in sala
preferivano questa soluzione e hanno chiesto al gestore della sala di
mandare la versione italiana! Sinceramente avrei volentieri fatto a meno
del doppiaggio, ma tant'è!
Voto: 3,5/5
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