Micah P. Hinson è un habitué dei palchi romani che negli ultimi due anni ha calcato regolarmente almeno una volta l'anno. Io lo seguo ormai dal 2015 e in questi anni non mi sono mai persa un suo concerto, perché Micah è un musicista vero e, come tutti i musicisti veri, ogni concerto fa storia a sé.
Questo non solo perché il suo repertorio si arricchisce anno dopo anno di nuovi brani (Micah è un musicista prolifico che riesce a sfornare quasi un album all'anno, anche grazie alle numerose collaborazioni che è in grado di mettere in piedi), ma anche perché ogni volta si presenta con una formazione e un equipaggiamento diversi: talvolta è da solo sul palco con la sua chitarra (a volte l'acustica, altre volte l'elettrica, come ieri sera), in altre circostanze è supportato da una band che talvolta viene assoldata in loco e che - come ad aprile 2017 al Monk - può comprendere anche un ensemble di fiati.
Inoltre, per Micah - come per tutti noi - ogni serata è diversa, e il suo umore condiziona profondamente il modo in cui suona e canta, sebbene le sue qualità restino indiscusse e l'essenza del suo personaggio non cambi.
Come ci dice lui stesso con una certa cattiveria, dopo aver declinato l'invito di qualcuno del pubblico a suonare alcuni dei suoi pezzi più famosi, ci sono due tipi di musicisti: quelli che riproducono la musica e quelli che la fanno, e lui appartiene a questa seconda categoria. E non gli si può dare torto.
Sul palco del Largo Venue (la nuova location romana della musica dal vivo di qualità) Micah sale da solo, come sempre con un berretto in testa (verde con la scritta Creature) e per il resto vestito perfettamente da texano: camicia a quadri, laccetto texano piuttosto vistoso al collo, cinta con fibbia enorme (che secondo me e F. riproduce l'Ultima cena, ma magari non è così), numerosi anelli alle dita e braccialetti ai polsi.
Ci sorprende subito intonando con la chitarra elettrica Oh holy night e riportandoci tutti al clima natalizio, poi comincia a suonare la sua musica senza dire una parola. Ma il silenzio - come immagino, conoscendolo - non durerà a lungo.
Ben presto Micah comincerà a interloquire con il suo pubblico, prima per presentarsi (il suo nome e da dove viene), poi per commentare, raccontare la sua storia (il suo incidente, la sua dipendenza dalle droghe, il rapporto con suo padre), spiegare i suoi vezzi (come quello di fumare sul palco). Il tutto condito da una quantità esagerata di "fuck" e "shit", come gli è proprio. Arriva presto il momento in cui si toglie il cappellino e scopriamo che Micah ha un nuovo taglio di capelli, rasati sui lati e lunghi al centro.
Ci dice che ha un nuovo album, fatto insieme ai Musicians of the Apocalypse, che si chiama When I shoot at you with arrows, I will shoot to destroy you. Nel concerto ci proporrà alcuni brani da questo nuovo lavoro, tra cui Small spaces, I am looking for the truth, not a knife in the back, Fuck your wisdom, ma ci dice che per ovvi motivi non potrà proporci i brani strumentali suonati insieme agli altri musicisti.
Nella scaletta trovano posto moltissimi altri brani che pescano dai tanti album del cantautore, il quale ci delizia con le sue esecuzioni per oltre un'ora, inframmezzando le esecuzioni con gli scambi di battute con il pubblico e le sue stranezze che fanno sorridere qualcuno in platea.
Quando, dopo l'ultima canzone, lascia il palco salutandoci, il pubblico lo richiama insistentemente e Micah non si tira indietro e, da musicista generoso qual è, trasforma questo bis in un vero e proprio altro concerto, tra l'altro riservando a questa seconda parte l'esecuzione di alcuni dei suoi successi, come Beneath the rose e Take off that dress for me.
In queste quasi due ore di musica, ci suona anche una canzone degli esordi di John Denver, una canzone americana della metà dell'Ottocento e una sua precoce composizione scritta a undici anni.
Alla fine - come fa sempre nei suoi concerti - ci ringrazia di essere venuti ad ascoltarlo perché - ci dice - siamo noi, il suo pubblico, quello che va ai suoi concerti, che gli consente di vivere e di far vivere la sua famiglia.
Micah P. Hinson si conferma non solo un grande musicista, ma anche un uomo dal cuore grande, che - come dice F. - sotto una scorza da duro mostra una sostanza tenerissima.
Voto: 3,5/5
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