La scortecata è una delle fiabe nere di cui si compone Lo cunto de li cunti, l’opera barocca e sovrabbondante del napoletano Giambattista Basile, la stessa a cui si era ispirato Matteo Garrone per il suo film Il racconto dei racconti, scegliendo tra l’altro questa stessa fiaba per uno degli episodi in cui il film si articola.
Si tratta della storia di due sorelle, vecchissime, che vivono in una catapecchia ai piedi del castello in cui abita il re. Un giorno il re sente cantare la più giovane delle due e, affascinato da questa voce che attribuisce a una fanciulla, vuole a tutti i costi scoprire chi si nasconde dietro di essa. Per le due sorelle è l’inizio di una spirale che sconvolge le loro esistenze meste, ripetitive e ricche solo di solitudine fino a condurle a una scelta estrema, quella che dà il titolo alla fiaba. Nel desiderio di essere quello che il re desidera e di poter cambiare la propria esistenza, la vecchia dalla voce soave convince la sorella a scorticarla viva per liberarsi della sua pelle da vecchia e far venire fuori la pelle giovane.
Nella messa in scena di Emma Dante le due vecchie sono interpretate da due uomini, i bravissimi Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola. Le due protagoniste sono sedute su due sedioline, una di fronte all’altra, e in mezzo alle due sedie c’è un tavolino su cui è poggiato il plastico di un castello principesco. L’interazione tra di loro si svolge dapprima tutta su un tono molto ironico: le due donne si punzecchiano reciprocamente, consapevoli della loro povertà e bruttezza, ma anche desiderose di cogliere l’occasione che gli si è presentata per poter cambiare vita. La lingua napoletana si configura fin da subito come il terzo personaggio sul palco, lingua piena di sfumature e di coloriture che interpreta perfettamente il senso di amarezza e il risvolto tragico che sta dietro l’ironia dei dialoghi.
Del resto, l’iniziale atmosfera giocosa si fa ben presto più seria, dal momento che i piccoli risultati positivi che le due sorelle ottengono con l’inganno ordito contro il re alimentano una speranza che è evidentemente priva di fondamento, ma che tale non appare allo sguardo delle due donne, accecate dal desiderio della giovinezza, della bellezza e della ricchezza. È come se – dopo una vita vissuta in solitudine e povertà – un evento inaspettato avesse aperto uno squarcio negli equilibri quotidiani e le avesse rese improvvisamente consapevoli della loro insoddisfazione. Questo climax ha il proprio apice in uno scontro tra le due sorelle nel quale esse utilizzano tutto il repertorio di insulti che la lingua napoletana mette a disposizione. Da qui la parabola non può che essere discendente e virare verso la dolorosa confessione della sorella più giovane e verso il tragico epilogo (in cui c'è una rilevante variazione rispetto alla fiaba originale).
I momenti topici della narrazione sono scanditi da canzoni selezionate dal vasto repertorio napoletano antico e moderno, mentre l’azione sul palco è animata da pochi oggetti che i due attori utilizzano per suggerire allo spettatore un intero mondo.
Ottima prova attoriale e convincente regia della Dante. Il tutto confermato dal lungo applauso finale del pubblico.
Voto: 3,5/5
Nessun commento:
Posta un commento
Lascia qui un tuo commento... Se non hai un account Google o non sei iscritto al blog, lascialo come Anonimo (e se vuoi metti il tuo nome)!