Il nuovo film di Damien Chazelle è tratto dalla biografia di Neil Armstrong scritta da James R. Hansen e intitolata appunto First man: The life of Neal A. Armstrong, riadattata dallo sceneggiatore Josh Singer.
La storia è quella dell’uomo (interpretato da Ryan Gosling) che il 20 luglio del 1969 mise per primo piede sulla luna come comandante della missione Apollo 11. Di questa storia ci hanno parlato diversi altri film, ma a Chazelle non interessa tanto il trionfalismo del successo americano, bensì le contraddizioni che vi si nascondono dietro e i prezzi pagati per raggiungere quell’obiettivo.
Apollo 11 fu infatti il punto di arrivo di un percorso lungo moltissimi anni, durante il quale – anche a causa dei limitati mezzi tecnologici allora a disposizione – molte persone persero la vita in test non andati a buon fine o altri episodi sfortunati, mentre la pressione politica e sociale rispetto a un obiettivo che costava investimenti enormi cresceva giorno dopo giorno, anche in conseguenza della competizione con l’Unione Sovietica.
Lo stesso Armstrong ci viene presentato come un antieroe triste, introverso e restio alle interviste, poco incline alla diplomazia, diviso tra una vita ritirata con la moglie e i figli e l’indesiderata ribalta di un palcoscenico mondiale. Armstrong, uno dei pochi piloti civili impegnati nelle missioni nello spazio, si presentò alle selezioni e fu assoldato nella missione Gemini 8 dopo la morte per un tumore della figlia piccola Karen, una perdita che lascia un vuoto incolmabile e che l’uomo sembra quasi voler compensare con il compimento della missione lunare.
C’è nel film di Chazelle da un lato l’ammirazione per un’umanità che non smette mai di sfidare sé stessa e che insegue costantemente il sogno di superare i propri limiti, di spingersi oltre il già conosciuto anche a costo di correre rischi enormi, dall’altro la compassione per quella stessa umanità che nonostante tutto deve inchinarsi di fronte al dolore e alla morte. La velatura di lacrime negli occhi di Armstrong mentre solca il terreno lunare mette insieme il senso di gratificazione che nasce dal compimento di un obiettivo perseguito per tutta la vita e l’inevitabile tristezza che nasce dalla consapevolezza della propria impotenza e della parziale inutilità del proprio sacrificio, una tensione a cui l’umanità non può in alcun modo sottrarsi.
Chazelle nella sua ancora brevissima ma già fulminante carriera continua a dimostrare di saper governare generi e ambiti cinematografici diversi (al punto che i suoi film sembrano appartenere a universi differenti), ma anche di saper portare avanti trasversalmente e coerentemente una poetica tutta personale che va a cercare in epoche, storie e personaggi diversi la stessa fiamma interiore che spinge l’essere umano a scelte coraggiose e talvolta dolorose che sono la fonte e il motore della propria vitalità, ma anche la radice prima di quella sottile e pervasiva malinconia che è propria della condizione umana.
Di film in film i suoi mezzi e le sue ambizioni crescono, un po’ come quelli degli esseri umani di cui racconta, cosicché in First man la vena intimista è superbamente affiancata e sostenuta da una messa in scena immersiva in cui la qualità delle riprese e dell’audio catturano lo spettatore risucchiandolo nel frastuono e nel terremoto della navicella fino al raggiungimento del silenzio e della calma irreale dello spazio.
Voto: 3,5/5
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