Ed eccomi alla seconda fase (per gli altri film vedi qui) della mia partecipazione alla Festa del cinema di Roma. Come mi accade praticamente ogni anno, comincio a riconoscere un filo conduttore nei film del festival, o meglio nei film che ho scelto di vedere. Perché non so mai se per una serie di circostanze tende a prevalere un tema oppure sono io che più o meno inconsciamente ne scelgo uno.
Ebbene il fil rouge dei miei film di quest'anno è evidentemente il rapporto genitori/figli che in modi diversi è trattato all'interno di quasi tutti i film che ho selezionato. In particolare questa seconda giornata si è fortemente focalizzata su questa tematica, oggetto di tutti e tre i film che ho visto: Beautiful boy, Skate Kitchen e Boy erased.
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Beautiful boy
Beautiful boy è la storia vera di un padre e di un figlio che hanno scritto entrambi un libro su questa storia dai rispettivi punti di vista. Da questi libri è nata la sceneggiatura del film diretto da Felix Van Groeningen.
Il padre, Dave (Steve Carell) è un giornalista freelance, separato dalla prima moglie e sposato con una nuova compagna, artista, con cui ha due bellissimi figli biondi. Dave fin dalla separazione è stato il genitore affidatario del suo primo figlio, Nick (Timothée Chalamet), un ragazzo bellissimo e da lui amatissimo, dotato di grande sensibilità e altrettanto grandi talenti. Questo figlio però durante l'adolescenza sprofonda nel buco nero della droga: inizia con le canne e altre droghe leggere, per arrivare alle metanfetamine e alle droghe sintetiche, anche se per Nick qualunque droga va bene per sconfiggere un senso di malessere profondo e di vuoto siderale.
Molte domande rimarranno senza risposta: che cosa spinge un ragazzo intelligente e con una famiglia che lo ama a sprofondare in questo tunnel? Un eccesso di sensibilità, un demone interiore innato, il peso delle aspettative dei genitori, il troppo amore, la percezione della banalità della vita, una qualche sofferenza del passato, il bisogno di prendere le distanze da suo padre? O forse tutte queste cose insieme?
La storia di questa discesa agli inferi e di questo calvario è sostanzialmente raccontata attraverso gli occhi di Dave, che di fronte a un figlio che si sta rovinando la vita non può fare a meno di cercare in lui i ricordi del passato, la forza del loro legame, la gioia della sua intelligenza, la bellezza del suo modo di essere. Questo padre ce la mette tutta e farebbe qualunque cosa per salvare suo figlio, ma dovrà capire che nessuno può salvarci se non siamo noi stessi a volerci salvare. Capirà che non c'è amore che possa placare il demone interiore che rende suo figlio inquieto e insoddisfatto.
Beautiful boy è soprattutto una grande prova attoriale, quelle di Steve Carell e di Thimotée Chalamet, che conferiscono ai loro personaggi tutte le sfumature necessarie a rappresentare l'immensa gioia dell'amore padre-figlio e l'immensa sofferenza della propria impotenza di fronte a ciò che è più grande di noi.
Un film dal quale si esce col cuore straziato, anche chi come me non ha figli di cui inevitabilmente - e forse non del tutto giustamente - si sente l'enorme peso della responsabilità non solo di farli crescere e di amarli, bensì anche di vederli prendere la strada giusta.
Voto: 4/5
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Skate Kitchen
Con Skate Kitchen mi immergo nuovamente nella rassegna Alice nella città, ma questo mio andirivieni tra i programmi dei due festival paralleli è quasi impercettibile considerando la continuità delle tematiche.
Ancora una volta infatti il tema è quello della tarda adolescenza e della ricerca dell'autonomia in tutte le maniere lecite e non lecite. Qui la protagonista è una ragazza americana di seconda generazione, alle soglie dell'età adulta ma ancora non del tutto autonoma. Camille (Rachelle Vinberg) vive con sua madre (durante il film ci spiegherà perché e da quanto tempo), che è sudamericana e le parla in spagnolo mentre lei le risponde sempre in americano. Soprattutto, Camille ha una grande passione per lo skateboard che sua madre non approva perché lo ritiene molto pericoloso.
Contravvenendo alle indicazioni della madre, la giovane si mette in contatto tramite Internet con un gruppo di ragazze della periferia newyorkese che si incontrano con le loro tavole da skate. Qui Camille troverà la possibilità di essere sé stessa e anche l'occasione di confrontarsi con la complessità del mondo e delle relazioni; dovrà imparare a cavarsela, a chiedere scusa, ad accettare che i legami sono difficili e fragili. Scoprirà anche che in fondo ha ancora bisogno della madre da cui rifugge, sebbene nell'ambito di un rapporto più adulto e consapevole.
In questo percorso lo spettatore avrà modo non solo di conoscere Camille e le sue amiche, ma anche di gettare uno sguardo sul mondo degli skateboarders e sulla periferia newyorkese vissuta da giovani e adolescenti di diverse origini, con tutte le loro tenerezze e anche le loro sregolatezze. È interessante scoprire che tra droghe, sesso e competizione feroce esistono in questo mondo anche delle regole di rispetto e di lealtà che tali gruppi interiorizzano e fanno proprie. Da questo punto di vista il film ha un taglio quasi documentaristico, che non sorprende se si pensa che la regista Crystal Moselle è la stessa di The wolfpack, la storia vera dei fratelli Angulo.
Il film ha una bella colonna sonora e un bel ritmo, mentre seguiamo le evoluzioni incredibili di questi ragazzi e ragazze sui loro skate. Pur nell'originalità del punto di vista, il film resta un po' ripetitivo e nel complesso non del tutto nuovo rispetto alla tematica trattata, cosicché il percorso di Camille risulta in qualche modo fortemente prevedibile.
Voto: 3/5
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Boy erased
La mia festa del cinema di quest'anno si chiude con una perfetta circolarità, in quanto va a chiudersi esattamente dove era cominciata. La storia di Boy erased infatti ricorda molto da vicino quella raccontata in The miseducation of Cameron Post.
Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un ragazzo omosessuale, Jared (Lucas Hedges), che viene mandato dal padre pastore battista (Russell Crowe) e dalla madre ultrareligiosa (Nicole Kidman) in una comunità che applica la terapia della conversione e che si chiama Love in Action per correggere il suo orientamento sessuale e i suoi comportamenti. Jared accetta perché l'alternativa è essere cacciato di casa e perché profondamente condizionato dalla visione fondamentalista della religione a cui è stato educato e che in qualche modo ha introiettato, sentendosi dunque intimamente sbagliato.
Quella di Jared è la storia vera che Garrard Conley - ora adulto e sposato con un uomo a New York - ha voluto raccontare in un romanzo autobiografico da cui è tratto il film diretto da Joel Edgerton (che interpreta anche il ruolo di Sykes, il responsabile del centro), con lo scopo di portare a conoscenza di tutti l'assurdità e la pericolosità di questi centri, la cui esistenza è accettata ancora in 36 stati americani.
La storia di Jared/Garrard è la storia della sofferenza individuale di chi è costretto a vedere sé stesso come qualcosa di sporco e di sbagliato e a doversi appunto cancellare (situazione che gli ospiti del centro vivono ciascuno in modo diverso, ma comunque con effetti devastanti sulla psiche), ma anche la storia del suo rapporto con i genitori, una madre succube e intrisa di idee religiose ma che alla fine riesce a mettere davanti il bene del figlio, un padre che invece non riesce a scendere a patti con quella che ritiene una "scelta" - pertanto reversibile - da parte del figlio.
Rispetto a The miseducation of Cameron Post, che nonostante la gravità della tematica riesce a essere un film in buona parte leggero e ironico, il film di Edgerdon è virato su un registro drammatico che a tratti sconfina quasi nel thriller e inevitabilmente sfocia in melò, senza per questo risultare stucchevole, e concedendosi qualche ironia in coda.
Il film si regge - oltre che sulla forza di una storia che inevitabilmente sorprende perché praticamente si svolge quasi ai giorni nostri - sulla capacità interpretativa degli attori: la sofferenza trattenuta di Lucas Hedges, le contraddizioni dei suoi genitori divisi tra l'affetto per il figlio e la fedeltà ai princìpi della loro fede. E così ci si ritrova ancora una volta a riflettere sui danni prodotti da un fondamentalismo religioso che interferisce in maniera pesante non solo con la libertà individuale ma anche con quella dello Stato e della società tutta, e su quanto tutto questo sia non solo ancora attuale ma incredibilmente presente anche nelle evolute società occidentali.
Qualcuno volò sul nido del cuculo ci fece scandalizzare sulla pratica della lobotomia per curare la malattia mentale e aprì un dibattito sul tema. Speriamo che questi due film sollevino altrettanta indignazione su una pratica che dovrebbe essere condannata senza alcuna attenuante per non rovinare più le vite di tanti giovani che vogliono solo essere sé stessi.
Voto: 3,5/5
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